10 – MINISTERO DELL’INTERNO

CAPITOLO XI

MINISTERO DELL’INTERNO

Il compito principale del Ministero dell’Interno è la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica (e il coordinamento delle forze di polizia), nonché quello di difendere la democrazia dagli attacchi interni. Pericolo quest’ultimo da non sottovalutare in quanto non in tutti paesi le istituzioni democratiche sono ben radicate o non c’è nessuno che miri a sovvertirle. Anche la lotta al terrorismo sia nazionale, che internazionale è una delle sue principali competenze. Ma veniamo alle problematiche.

Le misure volte a fronteggiare piccola e grande criminalità si possono dividere in 3 categorie:

Misure repressive. Sono quelle usate dalle forze di polizia e costituiscono le maniere forti. Se una persona ruba viene arrestato, processato e finisce in prigione. Il loro scopo principale non è, come qualcuno può credere, punitivo, ma quello di funzionare da deterrente. Si può parlare per ore sull’argomento, di educazione alla legalità ecc., ma attualmente la ragione principale che trattiene la maggior parte dei cittadini dal commettere reati è la paura di finire in prigione. Speriamo che in futuro sarà diverso e che la quasi totalità della popolazione eviterà di delinquere per motivi morali o per non nuocere agli altri.

 

Misure preventive. Sono quelle miranti a scoraggiare il crimine, eliminandone altresì le cause. Comprendono sia le strategie di sostegno alle classi sociali più deboli, il cosiddetto stato sociale, sia gli interventi miranti a promuovere lo sviluppo economico e a ridurre la disoccupazione. Le misure più efficaci sono:

Creare occupazione e sviluppo. È piuttosto elementare, più c’è lavoro, più l’economia tira, meno criminalità c’è in giro. Alcuni politici, soprattutto di destra, pensano di risolvere i problemi di ordine pubblico solo con misure di polizia, è pura illusione. Il crimine affonda le sue radici nella disoccupazione, nel sottoproletariato, nei quartieri degradati, nella diffusione della droga ecc., se non si affrontano prima adeguatamente queste problematiche, non ci saranno mai sicurezza e legalità.

    Stato sociale. Se i poveri sono sostenuti con sussidi di disoccupazione, assistenza sanitaria gratuita, possibilità di case popolari ecc., non li si costringe a delinquere per poter sopravvivere. Non andiamo oltre, perché parleremo di queste cose nel capitolo sulla previdenza sociale.

    Regolare l’immigrazione. Se si lascia entrare milioni di persone dai paesi in via di sviluppo senza che ci sia la possibilità di offrire loro un lavoro onesto e dignitoso, è come mettersi in casa una bomba a orologeria. I problemi in questo caso possono venire sia dai lavoratori nazionali, che non trovando un’occupazione a causa della concorrenza sleale degli immigrati che si accontentano di paghe di fame, sia da parte degli stranieri, che non trovando alcuno sbocco sono costretti ad arrangiarsi con attività illegali.

In particolare bisogna identificare tutti i clandestini (anche se non si vuole espellerli). La gente non si rende conto che se un clandestino, che non è segnato in nessuna anagrafe, commette un omicidio diventa difficilissimo identificarlo perché per la legge non esiste. Se poi rientra subito nel suo paese diventa quasi impossibile prenderlo, per questo bisogna schedare ognuno che entra nel nostro territorio in modo da sapere chi è, che cosa fa e dove dimora.

 

Misure assistenziali specifiche. Sono gli interventi diretti alle persone ad alto rischio di criminalità, come i tossicodipendenti, gli ex detenuti, gli individui affetti da personalità antisociale o certi tipi di disturbati mentali. Molte ricerche, ad esempio, hanno dimostrato che chi esce di prigione e non ha una casa o un lavoro, nell’80% dei casi torna a delinquere. Per questo motivo chi ha scontato la sua pena deve trovare all’esterno una struttura pronta a fornirgli appoggio logistico e sostegno psicologico. Lo scopo è quello di favorire il suo reinserimento nel tessuto sociale.

In questo capitolo, ci limiteremo alle misure repressive e misure assistenziali specifiche, mentre ci occuperemo di quelle preventive nel capitolo sul welfare state.

 

LOTTA ALLA CRIMINALITÀ

La storia è maestra di vita come sostenevano giustamente i romani, per questo prima di andare avanti è bene dare uno sguardo al passato per imparare dall’esperienza. Se si analizza le società che ci hanno preceduto emerge una dura verità: i regimi che sono riusciti a vincere la criminalità o almeno a ridurla a livelli quasi fisiologici, sono stati quelli autoritari, come il fascismo e il comunismo. Quando i nostri nonni ci riferivano che ai tempi di Mussolini si poteva lasciare la porta aperta che nessuno toccava niente, non esageravano.

Anche in tutti i paesi che appartenevano alla sfera di influenza dell’ex Unione Sovietica la criminalità era tenuta fermamente sotto controllo, anche se ciò voleva dire un feroce stato di polizia che soffocava tutte le libertà individuali.

Ciò non significa che l’unico modo per tenere la delinquenza sotto controllo è costituire uno Stato di polizia, ma solo che il permissivismo non paga. Ovunque ci sono leggi severe, che vengono fatte rispettare, il tasso di criminalità è basso.

In Arabia Saudita, all’ora di pranzo i gioiellieri lasciano le bancarelle, piene di preziosi, sulla piazza coperte solo da un panno, ma nessuno tocca niente. Questo perché nella penisola arabica i ladri vengono puniti con il taglio della mano.

In conclusione, in tutti i regimi in cui sono previste pene severe per i malviventi e queste vengono fatte rispettare, senza riduzioni e “sconti”, il tasso di criminalità è basso. Mentre è alto, a parità di condizioni, nelle democrazie dominate da partiti di sinistra che hanno leggi ipergarantiste, la giustizia è male organizzata o le autorità si mostrano troppo “deboli” verso i delinquenti,

I fattori di dissuasione. Alcune ricerche hanno cercato di analizzare quali sono i fattori di dissuasione più efficaci cioè quei fattori che scoraggiano le persone dal commettere reati. Dai loro studi è emerso che la maggior parte delle “menti” con tendenze criminali si astiene dall’infrangere la legge per:

1 – La paura di finire in prigione. Come abbiamo accennato sopra è il fattore più importante. Tantissima gente anche se ne ha l’occasione, non delinque perché ha paura di essere privato della libertà. La paura di essere severamente puniti, quindi, è il principale deterrente.

 

2 – Le possibilità di essere preso. Un altro fattore che ha un forte potere di dissuasione è la convinzione che si hanno poche probabilità di farla franca. Più la persona è convinta che non sarà mai scoperta, più sarà incline a lasciarsi coinvolgere in imprese criminali (anche se sono previste pene pesanti). Al contrario, se il malavitoso è convinto che difficilmente riuscirà a sfuggire alla giustizia, rinuncerà a commettere reati. In effetti, più la polizia si dimostra efficiente, più diminuiscono i crimini, perché i malviventi si convincono che è difficile passarla liscia.

3 – La severità della pena. La durezza della pena è un forte deterrente (al contrario se si è convinti che si potranno ottenere forti riduzioni o permessi premio e che la giustizia non funziona si è portati a rischiare). È la logica dei sostenitori della pena di morte, che a loro parere non è efficace tanto perché così si eliminano fisicamente 7 – 8 criminali all’anno, ma perché così si “spaventa” i potenziali criminali. Allo stesso modo nei paesi in cui è previsto per i ladri il taglio della mano, nessuno tocca niente, perché non vale la pena di rischiare l’amputazione di un arto per poche migliaia di euro. Non si vuole assolutamente giustificare certi eccessi, ma soltanto far presente che pene severe, senza né sconti né riduzioni, nella pratica hanno sicuramente l’effetto di scoraggiare il crimine.

 

4 – La mancanza di etica. Le persone per bene si astengono dal commettere reati per motivi etici o per non fare del male agli altri. Per questo la diffusione di principi morali dovrebbe essere un compito della scuola o della società. Fa parte delle misure educative.

 

I fattori di facilitazione. Sono chiamati così quelli che favoriscono il crimine, i più comuni sono:

La vendita libera di armi. Dai dati statistici appare chiaro che in tutti gli stati in cui la vendita delle armi è libera, come gli Stati Uniti, il tasso di criminalità è più alto, a parità di condizioni. Non andiamo oltre perché ne parleremo più avanti.

 

L’ipergarantismo e l’incertezza della pena. Tutte le norme che offrono facili scappatoie fanno aumentare i reati, perché danno la sensazione al delinquente di trovarsi davanti a uno stato debole, una società in cui il più forte o il più aggressivo prevale sul più debole. Al contrario, davanti a una risposta ferma ed energica dello Stato al “primo sgarro”, le persone, di solito, desistono dal continuare sulla strada del crimine.

 

Gli studiosi di scienza politica sostengono che è facile trovare l’ipergarantismo nelle democrazie dominate da partiti di sinistra. La visione di partenza è che il crimine è frutto della società, in altre parole è visto più che come responsabilità individuale, come risultato dell’ingiustizia, della povertà, della disoccupazione e dell’emarginazione. Il grave difetto di questo regime è che i delinquenti sono garantiti da una selva di norme che ne rendono difficile l’arresto. E anche quando finiscono dentro, spesso vengono liberati presto o possono godere di licenze e permessi premio.

Non si mette in dubbio che condizioni di disagio economico spinge la gente a delinquere, ma se si deresponsabilizza il soggetto, si giustifica con la miseria le sue colpe, è un po’ come autorizzare tutti coloro che vivono in povertà a rubare.

 

    La giustizia che non funziona. L’abbiamo accennato prima se in un paese la polizia è organizzata male o fa finta di non vedere o non si vede mai un poliziotto in giro, il delinquente è indotto a pensare che le autorità sono deboli. In altre parole tutte le cose che mostrano, come processi che durano 20 anni, che il sistema è inefficace e “permissivo” danno l’impressione di impunibilità che spingono i criminali a rischiare “tanto anche se vengono presi in un modo o nell’altro se la cavano sempre” (al massimo finiscono qualche mese ai servizi sociali).

 

LOTTA ALLA CRIMINALITÀ

Indicazioni generali

Il problema dell’ordine pubblico è un problema vecchio quando il mondo, il primo reato fu commesso da Caino che uccise suo fratello Abele. La società ha risposto subito a quest’esigenza di ordine pubblico creando le prime leggi, come quella di non uccidere e punendo severamente i trasgressori. Nell’antichità anche reati non troppo gravi come il furto di un cavallo, spesso venivano puniti con la morte.

Venendo ai tempi moderni, può essere molto utile al nostro studio l’analisi di una delle strategie di cui si è parlato moltissimi negli ultimi anni: la tolleranza zero, che è stata copiata in tutto il mondo, diventando spesso un bandiera per i partiti di destra.

LA TOLLERANZA ZERO. Si tratta di una strategia di contrasto della malavita ideata dall’ex sindaco di New York Giuliani, che consiste non solo in un’azione severa contro ogni tipo di reato (in altri termini nessuna tolleranza verso quelli minori), ma in un attento controllo del territorio, con poliziotti quasi ad ogni incrocio. Ma andiamo con ordine, vediamo i punti più importanti:

 

Presidiare il territorio. La presenza delle forze dell’ordine, non solo è rassicurante per la popolazione, ma scoraggia il crimine. È una cosa nota da tempo. Lo sapevano già gli antichi romani che presidiavano quotidianamente le città conquistate. Anche i paesi comunisti usavano metodi simili. Chi ha visitato a suo tempo uno dei paesi dell’est sotto l’influenza sovietica, può riferire che la polizia era onnipresente a ogni incrocio.

Si tratta, però, di un sistema molto dispendioso e spesso i costi non corrispondono ai risultati. A New York solo al centro si utilizzavano più di 40.000 poliziotti, e nel fare ciò spesso si lasciavano sguarniti i quartieri periferici (chiaramente non si poteva pattugliare tutto). Tutto ciò ebbe l’effetto di spostare qui la criminalità. Ad esempio, sempre a New York, a una diminuzione dei reati delle zone centrali corrispose, col tempo, un eguale aumento nei quartieri periferici.

La differenza stava nel fatto che in queste zone abitava la povera gente e la criminalità non faceva notizia, mentre al centro c’erano i turisti e la gente che contava. In effetti, non si possono certamente presidiare tutti gli incroci e i palazzi, perché costa troppo ed è d’aiuto fino a un certo punto, in quanto chi è intenzionato a rubare aspetta un orario in cui i poliziotti non sono presenti.

Nessuna tolleranza verso i reati minori. Chiudere un occhio sui reati minori, tollerando prostituzione, il piccolo spaccio, furtarelli, gioco d’azzardo ecc., sosteneva giustamente Giuliani, significa dare un segnale di debolezza. Inoltre, le attività di microcriminalità spesso sono uno strumento per autofinanziarsi, che così può raccogliere fondi per organizzare una rapina o mettere su un racket di auto rubate o il traffico di droga su un grande scala. Inoltre, i piccoli criminali costituiscono un vivaio per la malavita. Se si mettono dentro tutte le persone che vivono di traffici illeciti, si toglie “materiale umano”, e si rende difficile l’arruolamento di “soldati” non solo alla mafia, ma a tutta la malavita organizzata.

 

Mettere in mostra i criminali. Sin dai tempi dell’antica Roma si usava fare pubbliche esecuzioni, come le crocifissioni lungo le strade consolari. Nel Medioevo, poi, si arrivò al punto di appendere i criminali in gabbie di ferro alle porte della città, fino a farle morire di fame. La strategia era piuttosto chiara: dare segnali chiari e forti che la legge veniva applicata e che chi sbagliava pagava.

È il vecchio metodo di colpire uno, per spaventarne 100. Non si auspica di tornare a metodi inumani, ma soltanto far capire che le condanne devono essere pubbliche, per dare un segnale chiaro alla gente, che tutti i reati vengono puniti con fermezza.

A New York sempre ai tempi dell’ex sindaco Giuliani si è incominciato a mostrare in televisione la gente che veniva arrestata. Ciò non è solo utile per scoraggiare i delinquenti, ma anche per dimostrare alla gente comune che si fa qualcosa per contrastare la criminalità. Inoltre, i potenziali delinquenti si convincono che hanno poche possibilità di farla franca (2° fattore di dissuasione).

Mettere in prima pagina la fotografia di questi criminali, che uccidono, rapinano ecc., può essere criticato da punto di vista etico, ma risulta essere un ottimo deterrente, non solo, ma è fonte di informazione per il cittadino comune, che così viene a sapere che quella persona è socialmente pericolosa. Se, ad esempio, un maniaco viene arrestato e condannato per stupro, tutte le donne di quella città sapranno chi è questa persona, in modo da starsene alla larga quando uscirà di prigione.

In Inghilterra nel 2014 è stato approvata una legge che autorizzava i tribunali a rendere pubblici, su internet, i precedenti penali degli uomini che si erano resi colpevoli di violenze verso le donne. In questo modo quando una donna faceva nuove conoscenze poteva sapere se il suo nuovo partner era un soggetto potenzialmente pericoloso. Inoltre, per i delinquenti sapere che in caso di arresto finiranno su tutti i giornali, è un deterrente più forte del timore di fare 10 anni di carcere.

Il diritto alla privacy decade nel momento stesso in cui si commette un reato e non deve essere assolutamente usato per “coprire” i delinquenti. Chi si rende colpevole di crimini deve finire in primo piano su giornali e televisioni. È un fattore di dissuasione che spesso funziona più della paura di finire in prigione. È particolarmente vero nel caso di truffatori.

Chiaramente, occorre stare attenti a non esagerare e a non cadere nel macabro. Oggi certe forme di violenza non sono condivise neanche se è la società a usare la forza per scoraggiare certi tipi di reati. Occorre molto buon senso, se si decide di intraprendere questa strada.

 

Le altre misure che nel passato si sono dimostrate efficaci sono:

    Certezza della pena. In certi paesi come l’Italia spesso le pene sono lievi, ma non c’è nemmeno alcuna certezza che vengono scontate veramente.

Tra rito abbreviato, patteggiamento, indulti, licenze, permessi e buona condotta, su una pena di 5 anni il delinquente si o no ne passa un paio in carcere, così acquista un senso di impunità, sa che nel peggior dei casi se la caverà con una pena lieve.

 

    La recidività. Un altro ottimo sistema di dissuasione del crimine usato nel passato è il criterio della recidività, che consiste in un aumento delle pene per chi ripete più volte lo stesso reato. Lo Stato può tollerare che si sbagli una volta, ma la seconda volta diventa qualcosa di più di un errore e la terza volta ci troviamo davanti a un delinquente abituale.

Il criminale deve sapere che la società può essere tollerante verso chi è incensurato, ma se, poi, persevera sulla stessa cattiva strada, non si avrà alcuna pietà. Per questo motivo, secondo quest’ottica, è bene concedere tutte le attenuanti la prima volta, evitare il carcere immediato ecc., ma la seconda la volta non ci devono essere più sconti e riduzioni di pene. La terza volta, poi, le pene devono essere aumentate del 10% ecc. In effetti il criminale deve sapere che se continua su quella strada incontrerà pene sempre più severe. Il criterio della recidività si è rivelato un ottimo deterrente ed è applicato, anche se in misura diversa, in tutti i paesi del mondo.

    Premiare l’ammissione di colpa. Il sistema giudiziario che dà diritto a sconti di pena e a un trattamento più umano a chi ammette le sue colpe e mostra segni di pentimento ha dimostrato che aiuta a risolvere molti casi e scoraggia il crimine. Ne parleremo, nel capitolo sul Ministero della giustizia.

 

L’uso di telecamere o di antifurti. La sorveglianza delle strade, dei luoghi sensibili, come le banche, gli uffici di cambio o i grandi centri commerciali, hanno permesso di ridurre enormemente i reati in questi ultimi anni. Come pure il grande diffondersi di antifurti e congegni elettronici, soprattutto a protezione delle automobili o di beni di grande valore, hanno fatto diventare molto più rari furti e rapine. Si pensi, ad esempio, all’uso di casse continue, i criminali desistono da fare rapine perché sanno che al massimo troveranno poche centinaia di euro in contanti.

Altri aiuti sono venuti dal diffondersi dei moderni cellulari, che in pratica permettono di localizzare tutti gli spostamenti di ogni persona che ne possiede uno. Per questo motivo è giusto registrare tutti i dati di chi sottoscrive un abbonamento o compra una SIM.

Anche la registrazione su un registro di chi prende una camera in hotel o semplicemente affitta un appartamento aiuta molto la polizia a ricostruire i fatti in caso di un evento delittuoso.

 

Misure assistenziali specifiche. Sul territorio devono essere presenti delle strutture o centri di accoglienza per ospitare coloro che hanno pagato il loro debito con la giustizia ed escono di prigione. Come abbiamo detto chi esce di prigione e non ha una casa o un lavoro, nell’80% dei casi torna a delinquere. Per questo motivo chi ha scontato la sua pena deve trovare all’esterno un appoggio logistico e sostegno psicologico. Lo scopo è quello di favorire il suo reinserimento nel tessuto sociale. Come pure è bene pensare a corsi di riqualificazione per queste persone o dei percorsi agevolati per assumerli nelle ditte di pulizia, nelle municipalizzate per i lavori più umili ecc.. È meglio spendere qualche soldo per farli lavorare che pagar loro un costoso “soggiorno” ( i detenuti costano anche 280 al giorno allo stato) in un carcere.

LE FORZE DELL’ORDINE

Il segreto di uno stato che riesce a mantenere l’ordine pubblico in maniera esemplare ed efficiente è un corpo di polizia ben organizzato.

Vediamo le problematiche più importanti:

 

Uno o più corpi di polizia. In tutti gli Stati del mondo esistono più corpi di polizia. Non ci si riferisce soltanto alla tradizionale divisione tra polizia municipale e quella nazionale (negli Stati Uniti esiste la polizia federale), ma anche che all’interno della stessa polizia operino reparti specializzati nella lotta contro particolari tipi di crimini, ad esempio negli Stati Uniti esiste la squadra criminale o quella antidroga.

È chiaro che uno Stato moderno non può avere più corpi di polizia che operano in modo indipendente l’uno dall’altro. In Italia, ad esempio, abbiamo tre corpi principali: Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, a cui bisogna aggiungere polizia municipale, polizia provinciale, guardie forestali ecc..

Nel passato non sono mancati fatti incresciosi, che hanno attirato il ridicolo sulle forze dell’ordine: le guardie di finanze che cercavano attivamente un pericoloso criminale, per scoprire che era stato arrestato dalla polizia. Qualche volta si è arrivati addirittura al conflitto a fuoco tra agenti in borghese, perché i carabinieri ignoravano che gli uomini che pedinavano un delinquente fossero della Pubblica Sicurezza.

Anche la posizione opposta, che vuole un unico corpo di polizia, è inapplicabile nella pratica in quanto le forze dell’ordine sono chiamate ad affrontare diversi tipi di criminalità, che spesso richiedono competenze diverse.

A nostro avviso non basta una maggiore coordinazione tra i vari corpi, perché non mancherebbero fatti incresciosi, la soluzione ideale è una sola polizia, ma divisa in più corpi, ognuna specializzata in un settore. In altre parole ogni distretto di polizia deve essere diretto da un comando unico, composto da più forze. Non solo, ma ogni distretto deve avere dei legali che curino l’aspetto normativo e rappresentino la pubblica accusa nei processi.

 

Polizia efficiente e motivata. È uno dei punti più importanti. Il corpo di polizia non solo deve essere ben organizzato, come posti di comando assegnati con criteri meritocratici, ma è necessario motivare i poliziotti a fare bene il loro dovere. Una buona idea sono i premi di produzione. In tutti i paesi dove i poliziotti, che si distinguono nella lotta la criminalità, sono premiati con piccoli incentivi economici, avanzamenti di carriera o semplicemente lodati dalle autorità, mostrano maggiore zelo nel perseguire i crimini. Bisogna però stare attenti a non cadere nell’eccesso opposto, se i poliziotti vengono incentivati con premi in denaro possono essere indotti a mettere dentro anche persone innocenti e che hanno il solo torto di essersi trovati nel luogo sbagliato la momento sbagliato. Non tutti i militi sono onesti, ci sono anche quelli corrotti e “affamati di denaro”. Bisogna dare premi quando la criminalità cala in una certa zona.

 

In effetti, si possono introdurre anche leggi molto severe, ma se poi i poliziotti non si impegnano adeguatamente o, addirittura, fingono di non vedere, i risultati possono essere molto deludenti. Come pure è importante eliminare i fattori che scoraggiano i tutori della legge a fare il proprio dovere. Tempo fa, in Italia un maresciallo dei vigili urbani sorprese un ladro a rubare un motorino, dopo una dura colluttazione lo arrestò, ma quando lo portò al comando ebbe l’amara sorpresa, che non si poteva arrestarlo perché era uno straniero e non c’era un interprete a disposizione. Per non farla lunga dovette passare una giornata intera in questura a compilare moduli e ad attendere il magistrato e l’interprete, senza che gli fosse corrisposto alcuno compenso straordinario. Quando si riuscì a liberare finalmente verso mezzanotte, giurò che la prossima volta avrebbe fatto finta di non vedere. Bisogna evitare assolutamente di penalizzare chi fa il proprio dovere in modo scrupoloso, altrimenti le forze dell’ordine cominceranno a essere superficiali.

Allo stesso modo il poliziotto che vede libero già dopo qualche giorno il ladro che è riuscito ad arrestare con dura fatica, è fortemente demoralizzato a compiere il proprio lavoro. “Che serve arrestarli – pensa – se poi vengono messi in libertà?”. Nessuno è disponibile a rischiare la vita o la propria incolumità per assicurare alla giustizia i criminali, se poi la giustizia non funziona.

Un’altra buona idea sarebbe quella di legare i premi di produzione al tasso di criminalità del distretto dove il poliziotto lavora. Se diminuisce avranno più soldi, in questo modo tutti saranno più motivati a fare meglio il loro lavoro.

 

La “polizia interna”. Sono molti i paesi dove i poliziotti si lasciano corrompere o non fanno in modo leale il proprio dovere (ricordate il film “Serpico” che richiamò l’attenzione sulla corruzione della polizia a New York?). I rimedi sono vari.

Occorre innanzitutto pagare bene i poliziotti. Se con lo stipendio non riescono nemmeno a sfamare la propria famiglia saranno più disponibili ad accettare “mazzette”.

Per secondo, come ci insegna l’esempio americano ogni corpo di polizia serio e bene organizzato ha una sezione che si interessa degli affari interni. Questi devono sorvegliare sull’operato dei colleghi poliziotti, vigilare affinché facciano il proprio dovere e non fingono di non vedere, non prendano tangenti dai narcotrafficanti o altre associazioni criminali o dai commercianti e così via. La sola esistenza di una “polizia interna” è sufficiente a scoraggiare certe tentazioni.

 

Omissione di denuncia. In alcuni paesi spesso i reati, soprattutto quelli piccoli, non vengono denunciati e questo dà un falso senso di scurezza. I motivi per cui non viene fatto sono molteplici: perché si è convinti che le autorità non faranno niente, perché il danno subito è lieve e non ne vale pena ecc.. In questo caso bisogna sensibilizzare la popolazione a farlo sempre perché solo così si può sperare in una società più sicura. Altre volte sono le forze di polizia a spingere (o a consigliare) di non farlo per dimostrare ai superiori che “nella propria zona non succede niente” e che la situazione è sotto controllo, per dare un senso di efficienza ecc.. Altre volte sono proprio le autorità a dare disposizioni anche i mass media di non dare pubblicità all’evento per non rovinare l’immagine del paese e danneggiare il turismo. Non di rado, infine, sono i criminali a minacciare la vittima per indurlo a non sporgere denuncia o a ritirarla. Per ognuno di questi motivi bisogna studiare delle misure per fronteggiare questo fenomeno fortemente negativo.

LE MISURE REATO PER REATO

Le strategie per fronteggiare la criminalità, ovviamente, differiscono sensibilmente a seconda dei reati. Ad esempio, le misure per scoraggiare i furti di auto sono diverse da quelle contro le rapine o l’estorsione, per questo motivo, in questa seconda parte, passeremo in rassegna le misure di contrasto più efficaci. Data la vastità dell’argomento, però, ci limiteremo a dare solo brevi indicazioni.

 

LA LOTTA ALLA MAFIA

La criminalità organizzata, soprattutto se si tratta di associazioni mafiose, è difficile da estirpare, tuttavia l’esperienza ci insegna che se si è determinati e si opera in modo giusto, si possono ottenere ottimi risultati e con gli anni si può arrivare addirittura a debellarla. Ne è prova l’esperienza americana. La polizia ha messo alle corde la mafia italiana in città come New York, che un tempo erano la sua principale roccaforte e oggi sopravvivono solo pochi mafiosi isolati, che non hanno più nessun potere.

Le armi che si sono rivelate vincenti nell’azione di contrasto alla mafia sono:

 

L’infiltrazione di agenti. È uno dei metodi più efficaci, anche se il più pericoloso. A marzo del 2003 negli Stati Uniti la polizia riuscì a infiltrare un suo agente nella mafia e precisamente nella famiglia Gambino. Il risultato fu eccezionale: al termine dell’operazione questa associazione malavitosa fu decimata da 32 arresti.

Il pentitismo. L’esperienza americana anche qui è stata illuminante. Ad esempio dopo che Sammy Gravano, detto il toro, ha cominciato a cantare quasi 200 persone sono state arrestate. Nel mese di maggio 2005 (data dell’articolo di Panorama da cui abbiamo tratto i dati), le cosche newyorkesi non se la passavano affatto bene. I Genovesi, i Colombo, i Bonanno, avevano tutti i loro boss in prigione.

In Italia le rivelazioni dei pentiti, tra cui quelle dell’ex boss Tommaso Buscetta, e la serrata azione investigativa e giudiziaria da parte di polizia e magistratura hanno condotto negli ultimi anni all’arresto di famosi boss latitanti come Salvatore Riina e Nitto Santapaola. Se un mafioso che incappa nella rete della polizia, sa che può ottenere forti sconti di pena è invogliato a vuotare il sacco. La polizia ha, così, un forte potere di contrattazione per indurre i criminali arrestati a confessare o a testimoniare contro ex compagni.

 

Il sequestro dei beni dei mafiosi. Una volta si arrestavano intere famiglie, ma si lasciavano intatti i loro patrimoni, così a casa c’era sempre chi prendeva il posto delle persone finite in prigione. Non di rado erano le mogli a continuare le attività illecite dei mariti. Poi, finalmente si è capito che se si voleva combattere veramente la mafia bisognava lasciare questa gente nuda, cioè senza niente perché quando si hanno i soldi, si può ricostituire un’organizzazione mafiosa in poco tempo. Per questo motivo ogni volta che si arrestano dei mafiosi bisogna sequestrare tutti i loro beni, compreso il denaro trovato sui loro conti correnti. Bisogna lasciare loro soltanto la casa dove abitano. Solo così si renderà loro impossibile ricominciare da un’altra parte.

 

Interdizione da certe attività. È una misura diretta ai mafiosi che hanno finito di scontare la pena, non bisogna permettere di intraprendere attività imprenditoriali per almeno 10 anni, perché quasi sicuramente li useranno come copertura. Chi è stato condannato per motivi di mafia, per un periodo di tempo di 10 anni, può occuparsi solo come dipendente.

 

    Programmi di protezione dei testimoni. La gente diventa disponibile a testimoniare se esistono misure miranti a proteggere i testimoni da eventuali vendette dei mafiosi. Come si fa già da anni negli Stati Uniti, occorre predisporre un piano di protezione. La polizia una volta svolto il processo deve fornire al testimone una nuova identità e il trasferimento a spese dello Stato in un’altra regione, a lui e a tutta la sua famiglia. Solo così sarà più facile trovare persone disponibili a collaborare con la giustizia.

Nei casi più semplici, invece, bisognerebbe permettere ad eventuali testimoni di deporre in modo anonimo, senza recarsi in tribunale. Ad esempio, il giudice può raccogliere la loro testimonianza in una caserma dei carabinieri di un paese vicino o tramite video conferenza, attraverso una TV a circuito chiuso, senza inquadrarne il volto. Il testimone stando lontano dall’aula di tribunale sarà invogliato a dire la verità.

In ultimo, bisogna evitare di infastidire troppo i testimoni, ad esempio convocandoli moltissime volte. Spesso la gente non è disponibile a testimoniare, non tanto per paura, ma per non avere continue seccature.

 

    Mettendo sotto assedio tutte le attività della mafia. Non bisogna dare spazio alla mafia, se mai chiudendo un occhio sul contrabbando di sigarette, sul fatto che gestisce supermercati o che presta i soldi con tassi di interesse da usuraio. In altre parole, occorre combattere in modo risoluto tutte le attività illecite, senza trascurarne nessuna.

 

Installando telecamere nascoste a circuito chiuso in numerosi posti, in particolare dove è più probabile che succedono eventi mafiosi. Anche se nessuno è disposto a testimoniare, potrebbe essere un video a portare a un arresto eccellente. La persona indagata, poi, si potrebbe pentire e quindi portare ad altri arresti.

 

   L’educazione alla legalità. Le misure repressive, ovviamente, da sole non bastano, devono essere sempre accompagnate da un’intensa opera di sensibilizzazione della popolazione al problema. I mass media devono parlare spesso di mafia, in modo di favorire il nascere di una nuova coscienza nel paese.

In particolare bisogna educare le nuove generazioni, con interventi mirati anche nelle scuole, ai principi democratici e a non subire i ricatti dei mafiosi. Questi malavitosi non devono trovare soltanto l’opposizione di alcuni singoli, ma una nazione intera, solo così si riuscirà debellare veramente la società da questo cancro. Bisogna organizzare marce, riunioni, meeting ecc., lo stato deve collaborare con la chiesa, i sindacati, le associazioni ecc.. Tutte le forze sane e la parte onesta della popolazione devono fare fronte comune.

 

    Enti locali. “Sono più permeabili alle infiltrazione mafiose del governo centrale, perciò dare più potere agli enti locali, come si sta facendo ora, significa facilitare le cose ai mafiosi”, Nicola Cratteri, Mondadori, 2011. Nel caso ci sono gravi indizi di forti influenze mafiose su un ente locale bisogna che il governo centrale lo tenga sotto osservazione. Ad esempio, una volta che un ente locale ha deciso la costruzione di una strada, sarà il governo centrale a fare la gara di appalto, in modo da impedire che la malavita partecipi all’assegnazione dei lavori.

APPALTI E MAFIA POLITICA. Dopo la seconda guerra mondiale in Italia la mafia diventò un’organizzazione ramificata ed efficiente che, oltre a controllare un ampio serbatoio elettorale, utilizzato per ottenere dai politici locali e nazionali attenzioni e favori, estese la propria sfera d’influenza ad altre attività, come appalti e concessioni edilizie, usura e mercato di manodopera, per questo non bisogna trascurare questo aspetto, mancando di mettere “sotto assedio” anche queste attività. Data la vastità dell’argomento ci limiteremo a dare solo alcuni suggerimenti di carattere generale.

Innanzitutto, le misure per combattere la mafia politica ed evitare infiltrazioni negli enti locali sono quelle che abbiamo visto per contrastare la corruzione politica in generale. Per quanto riguarda gli appalti, valgono le regole che abbiamo indicato nel capitolo “Ministero dei lavori pubblici”.

In parole povere se si sceglie la trasparenza e si varano severe norme per svolgere in piena legalità le gare di appalto delle opere pubbliche, si toglie ogni possibilità alla mafia di inserirsi in questo lucroso settore. Il problema è che ancora oggi, in certi paesi come l’Italia, si usano sistemi di appalto, come la trattativa privata, che danno ampie possibilità ai politici di “fare certi giochi”.

In ultimo, per ostacolare la mafia nella gestione di pacchetti di voti o che alle elezioni sponsorizzi certi politici in cambio di “favori”, occorre togliere il voto ai mafiosi. In effetti, chi è stato condannato da un tribunale per reati di mafia non può candidarsi alle elezioni, ma neanche fare propaganda attivamente. Ciò renderà più difficile ai mafiosi sostenere efficacemente i propri candidati.

L’ESTORSIONE

L’estorsione è una delle principali attività della mafia, a seconda dei luoghi è chiamata pizzo, tangente o protezione e consiste nel costringere negozianti, imprenditori e artigiani a pagare una certa somma mensile. Non tutti i politici si rendono conto dell’effetto deprimente che ha questa pratica malavitosa sul tessuto economico e sociale. Finché queste bande si limitano a taglieggiare qualche discoteca, il danno alla società è limitato, ma quando incominciano a ricattare industriali, produttori o artigiani, gli effetti sull’economia di una zona possono essere distruttivi al massimo. Non solo si scoraggia fortemente l’apertura di nuove attività, ma si fa fuggire anche le poche esistenti. Quale industriale aprirà mai una fabbrica nel napoletano sapendo che ogni mese dovrà pagare una grossa tangente alla camorra e che se sgarra i propri stabilimenti saranno dati alle fiamme?

Per questo motivo la lotta a questo tipo di reato dovrebbe essere intensificata e diventare prominente, non solo, ma le pene andrebbero raddoppiate, solo così si potranno ottenere dei risultati. Ma andiamo con ordine.

 

Le misure. Per prima cosa, com’è stato detto, occorre prevedere pene molto severe. Chi chiede tangenti ai commercianti, agli industriali, agli artigiani ecc., deve rischiare 15 se non 20 anni di carcere, senza sconti o riduzioni di pena. Bisogna equiparare questo crimine al terrorismo. Ma soprattutto i criminali devono restare dentro e non godere di permessi premio o riduzioni significative delle pene. Non di rado, attualmente, la gente non si rivolge alla polizia perché sa che, nel migliore dei casi i mafiosi torneranno in libertà dopo pochi anni o che possono godere di qualche permesso durante i quali possono vendicarsi.

 

Per secondo, bisogna prevedere dei numeri verdi a cui le persone che sono ricattate dalle bande del pizzo possono rivolgersi in modo anonimo. Bisogna, poi, cercare di contattare in modo discreto queste persone in modo da stabilire insieme la migliore strategia per raccogliere le prove contro i malavitosi. Se li si convoca in caserma, chiaramente, i mafiosi sapranno che il commerciante sta collaborando con la polizia.

 

Per terzo, bisogna nascondere delle telecamere e filmare la scena quando essi passano a ritirare il denaro, in modo da costituire delle prove schiaccianti contro i delinquenti. Al contrario, non bisogna assolutamente agire quando non si possiedono sufficienti indizi col rischio di esporre la vittima alle rappresaglie dei mafiosi.

 

Per quarto, organizzare i commercianti e gli imprenditori in associazioni perché insieme possono resistere, isolati invece sono facile preda delle bande. Le persone taglieggiate devono sapere che, se sporgono denuncia, riceveranno ogni tipo di protezione da parte delle forze dell’ordine, che i loro negozi saranno sorvegliati giorno e notte da telecamere nascoste e che nel caso che subiranno danni, saranno rimborsati interamente dallo Stato. Bisogna arrivare al punto che tutti devono essere convinti a non pagare. Se non paga nessuno, la malavita sarà la sconfitta e il fenomeno scomparirà.

Inoltre, bisogna prendere delle misure contro i commercianti che favoriscono la mafia pagando senza opporre alcuna resistenza. Nel caso vengono scoperti bisogna togliere loro la licenza commerciale e impedire che per 10 anni riaprono da qualche altra parte.

 

In ultimo, bisogna tentare una campagna per sensibilizzare i mafiosi (con incontri con detenuti, persone sospettate di appartenere ai clan ecc.), per far capire loro che questo tipo di reato distrugge l’economia della zona perché nessun imprenditore metterà una fabbrica o avvierà un’attività e col tempo si metterà in crisi anche il commercio e le iniziative legate al tempo libero. In effetti, bisogna far capire loro che in un mercato globalizzato come il nostro, se l’economia di una zona si deprime fortemente, i primi a perderci sono proprio i mafiosi che si possono trovare padroni di quartieri fantasmi, abitati da povera gente, senza soldi in tasca. Salteranno quindi anche attività come le scommesse sportive, il gioco d’azzardo e la prostituzione. A volte con i ragionamenti si ottengono risultati migliori che con le maniere forti.

 

LA MICROCRIMINALITÀ

La città degli scippi non è solo Napoli o Bari, dove spesso i turisti vengono scortati dalla polizia nel centro storico, è l’Italia intera. Nel 1992 ogni giorno ben 144 persone erano vittime di questa forma di criminalità solo apparentemente minore, ma tanto diffusa da diventare una vera emergenza nazionale. In quello stesso anno furono denunciati ben 52.462 casi.

Vengono scippati sopratutto i turisti con gravi effetti sull’immagine del paese e sul turismo. E al trauma della borsa strappata, spesso si aggiunge la violenza vera e propria. Gli scippatori non esitano a malmenare, se le vittime provano ad abbozzare qualche forma di resistenza. Furti, scippi, rapine a passanti ecc., sono la forma di criminalità più odiata perché è quella che grava di più sulla popolazione attiva e non colpisce solo la piccola borghesia, ma anche le fasce sociali più deboli. L’operaio o l’impiegato ha solo l’astuzia per difendersi da questi criminali di strada che spesso ammazzano una persona per pochi soldi.

Le misure che si sono dimostrate più efficaci, per proteggere la società da questo tipo di criminalità che è chiamata micro solo per l’entità delle somme in oggetto, sono:

 

Sorveglianza sul territorio. Le forze dell’ordine devono essere presenti nelle principali strade ed essere organizzate in modo da intervenire prontamente in pochi minuti in caso di reato. È chiaro che non si può mettere un poliziotto a un incrocio, come pretenderebbe qualcuno, ma una presenza più massiccia scoraggia molto questo tipo di crimine.

 

    Le trappole. Un altro sistema che si è iniziato ad usare in alcuni paesi è quello di predisporre delle trappole. Una poliziotta vestita da turista si fa vedere in giro nelle zone più a rischio, i colleghi la sorvegliano a distanza fingendosi passanti. Appena viene scippata circondano il malvivente e lo arrestano.

 

Telecamere di sorveglianza. È la misura che si è dimostrata più efficace fino adesso, in tutte le strade e i luoghi a rischio dovrebbero essere predisposte delle telecamere nascoste.

 

Pene più severe. Oggi in Italia se uno scippatore è preso se la cava con pochi mesi di carcere, spesso non va nemmeno dietro le sbarre, ma viene assegnato ai servizi sociali. Non solo, ma non esiste nemmeno l’arresto immediato, cioè anche se il ladro è preso in flagranza viene denunciato a piede libero. Ciò significa che una volta che la polizia ha preso i suoi dati, se ne torna comodamente a casa. Il giorno dopo ricomincia a delinquere, perché chiaramente deve procurarsi i soldi per pagare l’avvocato.

Inoltre, non di rado lo scippatore riesce a farla franca perché rintraccia la vittima e la minaccia, così che quest’ultima finge di non riconoscerlo al momento del confronto in tribunale. La maggior parte delle persone subisce in silenzio perché i rischi che corre sono troppo elevati rispetto all’esiguità dei danni subiti.

 

    Furti negli appartamenti. Una volta era un reato che riguardava solo le classi agiate, quelli che avevano case con oggetti di valore, oggi interessa una vasta fascia della popolazione. Le persone benestanti col tempo, infatti, hanno protetto sempre di più le loro abitazioni con una serie di misure di sicurezza, compreso guardie armate, perciò i ladri sono stati costretti a spostarsi sui meno abbienti. È un reato che ha costi sociali altissimi e che aumenta in modo vertiginoso il senso di insicurezza della popolazione. Non sentirsi al sicuro neanche in casa propria è davvero stressante. Anche qui bisogna studiare tutte le strategie possibili, come incentivare l’uso di antifurti, porte blindate, telecamere interne ecc..

 

Inoltre la polizia deve fare opera di sensibilizzazione sui mass media sui comportamenti da adottare per evitare di restare vittime di questo tipo di furto. Tra le misure attive gli esperti consigliano la predisposizione di “case trappole” sotto la sorveglianza della polizia, controlli sui commercianti per rendere difficile lo smercio della refurtiva ecc..

Non per ultimo le pene devono essere abbastanza severe e non guardare a questo tipo di reato come un male minore a cui rassegnarsi, perché nessuno subisce violenza.

 

IL FURTO di AUTOVEICOLI

In questi ultimi anni nel nostro paese per fortuna c’è stato un vistoso calo di questo tipo di reato (si è passati da 224.000 nel 2002 a 124.000 nel 2010, anche se è diminuito il numero di quelle recuperate), ma i meriti non sono dei governanti o delle misure adottate, ma principalmente della diffusione di antifurti sempre più sofisticati, soprattutto quelli satellitari. Inoltre, sempre più spesso chi compra una macchina nuova la mette in garage. Di notte non è facile trovare per strada, almeno nelle grandi città, auto nuove.

 

    Strategie per limitare i furti di auto. Le auto rubate vengono smaltite soprattutto in due modi: o prendono la via dell’estero o vengono demolite e rivendute a pezzi. Altre, poi, circolano come auto clonate.

Nel primo caso occorre migliorare i controlli alle frontiere, che spesso sono fatti in modo superficiale e distratto. Le guardie di dogana, almeno ogni certo numero di macchine, devono controllare anche i numeri di telaio e quelli del motore. Solo così diventerà più difficile portare all’estero le auto rubate.

Stessa cosa deve essere fatta sulle navi traghetto, agenti devono verificare le auto mentre sono parcheggiate nel garage della nave. In secondo luogo, occorre fare pressioni su quegli stati che importano senza nessun controllo autoveicoli rubati e spesso li fanno circolare liberamente. Alcuni anni fa è stato documentato con filmati che in Albania e in Marocco circolavano grosse autovetture rubate in Italia ancora con le targhe originali.

 

Per le auto destinate alla demolizione, invece, bisogna tenere sotto pressione gli auto demolitori (e chiudere senza eccezione tutti quelli abusivi). Se si scopre un autoveicolo rubato nel loro depositi o li si sorprende mentre lo smontano, non solo devono essere arrestati, ma deve essere vietato loro lavorare per 20 anni nel settore. In altre parole, non possono fare più gli sfasciacarrozze. Inoltre, ogni autodemolitore deve tenere un registro aggiornato delle auto demolite e dei pezzi di ricambio recuperate. Se si scopre, ad esempio, che hanno degli sportelli di una Jaguar, ma non hanno demolita un’auto del genere negli ultimi tre anni, l’officina deve essere chiusa.

L’altra misura che si è dimostrata molto efficace è la video sorveglianza almeno delle strade più a rischio. Come pure non bisogna limitarsi a ciò, ma predisporre delle trappole. Ad esempio, i cittadini possono offrire le loro auto come esca, cioè ogni notte la polizia vi piazza su dei segnalatori satellitari. Quando l’auto viene rubata, la polizia segue di nascosto i malfattori per farsi portare al loro covo. Il fenomeno della clonazione, poi, va combattuto dotando le autovetture di una password come diremo più avanti.

 

Pene più severe. In alcuni paesi come l’Italia, nel peggiore dei casi il ladro di auto se la cava con qualche mese di prigione, ma di solito con l’assegnazione per alcuni mesi ai servizi sociali. Si comprende benissimo che non sono sanzioni che possono scoraggiare qualcuno. Si continua a sottostimare la gravità di questo reato che non è solo il furto di un autoveicolo. I ladri dovrebbero rischiare almeno un anno di carcere e se recidivi ancora di più, solo così si può sperare di ottenere dei risultati.

 

Misure preventive. Sono quelle miranti a scoraggiare questo tipo di reato. Ad esempio, si potrebbero rendere tascabili i libretti di circolazione delle auto (oppure farli elettronici, come la tessera del Bancomat) in modo che la gente se li porta dietro nel portafoglio. Se l’auto viene rubata e il ladro fermato, i poliziotti possono sequestrargli l’auto perché non ha tale documento. Bisogna, però, sanzionare chi lo lascia in auto.

Un modo ancora più semplice è quello di obbligare gli automobilistici a tenere a casa “il foglio complementare”, che è quello su cui si scrivono le ipoteche. Senza questo foglio l’auto non può espatriare, non può cambiare di proprietà, né tanto meno essere rottamata. In questo modo si complicherebbe di molto la vita dei ladri.

Per secondo, si potrebbe obbligare i costruttori ad imprimere i numeri di targa direttamente sulla carrozzeria o sugli sportelli, in modo che se si vuole cambiarli bisogna tagliare il telaio. Oggi, invece, è facile cambiare i dati di un auto perché bisogna sostituire solo la targa.

 

Per terzo, si può dotare ogni auto di una password (scelta dal proprietario al momento dell’acquisto). Nel caso la polizia ferma l’automobilista, può chiedere questa password e verificare con il numero di targa se corrisponde a quella depositata. Un eventuale ladro sarebbe così scoperto immediatamente. Nel caso il proprietario la dimentica, purtroppo è costretto a recarsi in caserma in modo che la sua identificazione sia effettuata con sicurezza.

Un’idea analoga è quella di predisporre in ogni auto nuova di un codice di blocco, come per i telefonini. Nel caso viene rubata, il proprietario la può bloccare a distanza. Senza contare che avendo un cellulare a bordo sarebbe anche individuabile con il satellite. Insomma la tecnologia ha reso molto più facile contrastare questo tipo di crimine, tutto sta ad adottare le misure giuste.

 

IL TRAFFICO di DROGA

Nel passato, fino agli anni ‘60, si è sottovalutata l’incidenza di questo tipo di reato, poi si è visto che il consumo di droghe ha effetti disastrosi sulla società in quanto oltre a produrre emarginazione, rottura dei legami familiari, degradamento sociale, spinge a commettere numerosi reati. Le persone per potersi procurare la dose sono pronti a rubare, a scippare, a truffare e in alcuni casi anche a uccidere.

 

L’azione delle autorità deve essere diretta in due direzioni:

1 – Assistenza e recupero, per coloro che vogliono uscire dal buio mondo della droga, cioè aiuti per chi vuole smettere. Per assistenza e recupero, si intende comunità terapeutiche, assistenza sanitaria, offerta di farmaci sostitutivi come il metadone ecc.. Tutte cose di cui si parlerà nel capitolo “Ministero della Salute”.

2 – Severità verso gli spacciatori e per chi vuole continuare a drogarsi, ma sopratutto per chi delinque per drogarsi. In questa sede parleremo solo di questi casi.

 

Le strategie di repressione. Se si vuole combattere con efficacia lo spaccio e il consumo di droga è d’obbligo stabilire delle regole certe per distinguere i consumatori dagli spacciatori. Anche se può sembrare una cosa banale, è molto importante individuare con certezza le persone che possono essere considerate spacciatori, altrimenti ogni volta che si arresta qualcuno in possesso di droga, potrà dichiarare che è per uso proprio (e per gli amici) e continuerà indisturbato la sua attività di venditore di morte.

 

I criteri da seguire, come ci insegna l’esperienza, sono soprattutto due:

1) Stabilire la quantità minima per ogni sostanza psicoattiva. In altre parole una commissione di esperti deve indicare quale è la dose massima che può assumere un tossico dipendente, che fa uso già da 2 anni di droga. Questa misura è stata introdotta in Italia nel 2006, le quantità consentite erano 1,7 g per l’eroina, 1,6 g per la cocaina e 15 g per la marijuana. Ci sembra un’ottima legge anche se le quantità consentite ci sembrano eccessive in quanto più che sufficienti per consentire agli spacciatori di lavorare indisturbati senza essere fermati dalla polizia.

Una volta stabilite le quantità massime per uso individuale, chiunque viene trovato in possesso di una quantità maggiore deve essere considerato spacciatore. Ogni giustificazione, ad esempio che si è acquistato per farsi una riserva per le vacanze o che si è comprato per gli amici, deve essere respinta. Tutti i tossicodipendenti devono sapere con precisione quanta droga possono tenere come consumatori, oltre a questa quantità sono considerati spacciatori.

 

2) Deve essere considerato spacciatore chiunque vende una dose ad altre persone, non importa se è anche un consumatore abituale. Lo smercio deve essere prova sufficiente per classificare una persona commerciante di morte e non deve essere accettata nessuna scusa. Chi vende droga prendendo in cambio del denaro, significa che spaccia. L’esperienza ci insegna che quando si è troppo deboli, si favorisce la diffusione e il consumo di sostanze illegali.

 

Una volta separati consumatori da spacciatori bisogna seguire due percorsi completamente diversi.

I consumatori. È chiaro che non si può rinchiudere dietro le sbarre una persona solo perché ha problemi di droga, trattandolo come un criminale comune, però non è nemmeno giusto che non si prenda alcuna misura nei suoi riguardi.

La cosa più giusta è che quando la polizia ferma qualcuno che si sta drogando o che è in possesso di una certa quantità di droga per uso proprio, deve essere obbligato a seguire per alcuni mesi un percorso di recupero presso una comunità terapeutica.

In secondo luogo deve essere schedato, cioè prese le sue impronte digitali e i suoi dati anagrafici, in modo che, se in futuro commette un reato può essere facilmente individuato. Non solo ma bisogna metterlo sull’avviso che è stato individuato perciò se incomincerà a rubare, a scippare o fare rapine, verrà preso con facilità. Uomo avvisato mezzo salvato.

Un’altra misura molto efficace è la sospensione della patente di guida almeno per un mese per evitare che porti l’auto sotto l’effetto di sostanze psicoattive, causando un incidente mortale. Gli sarà restituita solo se dimostra di essersi disintossicato.

Per le persone, però, che si dimostrano collaborative bisogna offrire ogni tipo di assistenza sanitaria: farmaci sostitutivi come il metadone, aiuti per permettere loro di superare le crisi di astinenza, supporto psicologico oltre che siringhe e sanitari per impedire che prendano malattie infettive come l’aids o l’epatite B. Ciò che bisogna evitare assolutamente è che il tossicodipendente, alla disperata ricerca di soldi per comprarsi la dose, torni a delinquere.

Non andiamo oltre perché di queste misure parleremo nel capitolo Ministero della salute, che è l’istituzione che si occupa dell’assistenza alle persone con problemi di dipendenza.

 

    Gli spacciatori. La legge non deve essere altrettanto benevola verso gli spacciatori, che devono essere considerati dei delinquenti che si arricchiscono approfittando della vulnerabilità di una parte della popolazione. Un certo riguardo si può avere solo per coloro che spacciano unicamente per guadagnarsi la propria dose quotidiana, perché anche essi sono tossicodipendenti.

Le pene per gli spacciatori che fanno questo mestiere unicamente per arricchirsi, invece, devono essere molto severe. Ogni volta che sono colti in fallo devono passare molti anni in prigione. Anche qui si può essere elastici la prima volta, ma una volta che una persona è arrestata più volte per questo reato, deve essere considerato uno spacciatore abituale e perciò la pena va aumentata automaticamente del 20%.

Se si tratta di spacciatori stranieri oltre alla condanna deve essere revocato loro il permesso di soggiorno (e nei casi più gravi tolta la cittadinanza). In altre parole alla fine della pena devono essere espatriati e dichiarate persone indesiderate.

    Lotta ai trafficanti di droga. Dovrebbero essere usate le stesse misure che abbiamo indicato per la mafia: infiltrare agenti nelle bande, sequestrare i beni dei trafficanti, misure efficaci per evitare che riciclino di soldi sporchi, predisporre trappole (ad esempio un agente che finge di comprare droga), posizionare telecamere nascoste nei posti di spaccio e così via. In altre parole non bisogna limitarsi a misure passive e aspettare che lo spacciatore caschi nella rete.

Un’altra arma efficace è quella finanziaria. Le guardie di finanza devono verificare tutti gli arricchimenti illeciti, in modo da individuare le persone che hanno fatto i soldi con il commercio di droga. Una volta individuate, bisogna raccogliere segretamente, anche con intercettazioni telefoniche, tutte le prove per farle condannare.

Per i trafficanti stranieri, non bisogna limitarsi a condannarli, ma una volta scontata la pena devono essere espulsi e non dar loro nessuna possibilità di rientrare.

In ultimo, sarebbe opportuno coinvolgere anche i sindaci nella lotta contro la droga, siamo sicuri che molti di essi conseguiranno risultati importanti.

 

Minorenni spacciatori. L’espediente di ricorrere a minorenni non punibili non è raro solo in Italia. A Torino i marocchini si servono di minorenni per far spacciare liberamente la droga nelle piazze. Li fanno venire apposta dal loro paese. Dato che non possono essere arrestati, nel caso sono fermati dalla polizia vengono affidati ai servizi sociali. Nel giro di pochi giorni scappano e ritornano a spacciare. Ecco costituita una zona franca, data l’impunità a una fascia della popolazione. Non andiamo oltre perché ne parleremo a proposito della delinquenza giovanile.

 

LA PROSTITUZIONE

L’atteggiamento verso la prostituzione varia enormemente da paese a paese, tuttavia si possono distinguere, grosso modo, tre posizioni: 1) Proibizionismo, è proibita e la norma viene fatta rispettare. 2) “Finto proibizionismo”, cioè la prostituzione teoricamente è proibita dalla legge, ma poi nei fatti è praticata quasi apertamente in vari modi. 3) Legalizzazione, in altre parole la prostituzione è permessa o addirittura riconosciuta come un mestiere come gli altri.

  Proibizionismo. L’esperienza americana del proibizionismo ci insegna che non ci si può opporre a vizi umani come l’alcol, la prostituzione e il gioco d’azzardo. È vero, la prostituzione era tenuta sotto controllo nella maggioranza dei paesi dell’est prima del crollo del comunismo, ma in realtà era solo costretta alla clandestinità. Non esisteva nelle strade, ma era presente negli alberghi o in altri posti, come le case private, o limitata a certi ambienti. In parole semplici, a parte ciò che appariva all’esterno, non era difficile trovare “compagnie femminili”.

Le difficoltà, se si sceglie questa linea, è riuscire ad impedire che ci si prostituisca. Una situazione facile da ottenere nei paesi comunisti, nei regimi totalitari, ma non nelle moderne democrazie, se non altro perché comporta grossi costi economici. Richiede, infatti, controlli continui e una certa limitazione delle libertà individuali.

In effetti, la prostituzione è difficile eliminare del tutto, anche perché oggi c’è Internet, gli annunci sui giornali ecc.. Anche in Italia, nonostante si sia provato di tutto: retate di polizia, multe ai clienti, in alcuni paesi ronde organizzate ecc. non si è riusciti ad ottenere grossi risultati. Il più delle volte, più che risolvere il problema, si è solo costretto le prostitute a spostarsi in continuazione da una zona all’altra e a cambiare metodi di ricerca dei clienti. Ad esempio molte di queste donne, passeggiano per strada o stazionano davanti ai bar, vestite normalmente, in attesa dell’occasione giusta per abbordare la persona “giusta”.

Il proibizionismo comporta un ulteriore problema, spesso sottovalutato dai politici. Le persone con disturbi psichici, in particolare i pervertiti, i repressi, i maniaci sessuali, non trovando alcun sbocco alla loro sessualità, spesso si rendono responsabili di aggressioni sessuali. In altre parole se si riuscisse veramente ad eliminare del tutto la prostituzione si potrebbe avere un sensibile un aumento delle violenze sessuali o delle molestie alle donne “per bene”. Bisogna considerare che non tutti gli uomini possono o sono così maturi da riuscire a mantenere una relazione con una donna. In altre parole la prostituzione costituisce una valvola di sfogo per tanti maniaci che, con il proibizionismo, verrebbe a mancare e a farne le spese sarebbero proprio le brave ragazze.

 

Finto proibizionismo. Era la situazione che c’era in Italia fino a pochi anni fa. Nel 2004 in Italia un calcolo approssimativo valutava che c’erano almeno 70.000 donne che si prostituivano sul marciapiede, ma non era difficile che fosse un calcolo in difetto. Non solo, ma in qualche modo erano nate di nuovo le case chiuse, sotto forma di club privé o di case protette, cioè con prostitute che operano in casa con il permesso tacito di qualche funzionario di polizia. A prostituirsi in Italia oggi sono più di 100.000 donne in stragrande maggioranza straniere. È la situazione peggiore, in quanto permane l’illegalità, non esistono controlli medici e la criminalità organizzata spesso si finanzia con gli introiti della prostituzione.

Non sono gli unici svantaggi di questa soluzione, ce ne sono altri ancora più gravi: per strada si possono trovare numerose minorenni, i casi di schiavismo sessuale sono abbastanza frequenti (spesso vengono riportati dai giornali, ma quelli che emergono sono soltanto la punta di un iceberg) e soprattutto si verificano troppi omicidi o fatti di sangue. A volte sono i clienti a uccidere le prostitute, perché prendendole a bordo per strada e isolandosi diventa un delitto facile da consumare, altre volte sono i magnacci o i boss a ucciderle per vendetta o per assoggettarle, non mancano neanche i casi di donne seviziate o torturate.

A tutto ciò si deve aggiungere nessun controllo sanitario e nessuna possibilità di misure igieniche. Una prostituta per strada non può lavarsi, né sempre è in grado di imporre l’uso del preservativo, da ciò l’aumento della diffusione delle malattie veneree, compreso l’Aids. In ultimo nei paesi più vicini alla frontiera in Italia (ma non solo in questi) molti Italiani si recano all’estero, in famosi club privè.

 

Legalizzare la prostituzione. È la soluzione migliore (adottata in tutti i paesi europei più avanzati come Germania, Austria, Olanda ecc.), in quanto i vantaggi sono nettamente superiori agli svantaggi. Si controlla il fenomeno, si sottrae queste donne allo sfruttamento della malavita, si possono imporre misure sanitarie come l’uso del profilattico, si toglie dalle strade lo spettacolo indecente di donne seminude che si offrono agli automobilisti di passaggio, si evita che tante prostitute vengono uccise ecc. ecc..

Infine, si fa pagare loro le tasse in quanto è l’unica attività che in molti paesi attualmente “gode” di esenzione totale.

In questo caso, ovviamente, bisognerà perseguire con controlli continui la prostituzione nelle strade. Una donna sorpresa a vendersi deve rischiare 2 – 3 anni di prigione e i clienti, forti multe e il sequestro dell’auto.

 

LA DELINQUENZA MINORILE

I reati commessi dai minorenni, fino a non molti anni fa, venivano visti come bravate fatte da ragazzi immaturi, poi si è incominciato a capire che i minori potevano rappresentare un grosso problema per l’ordine pubblico. Nessuno mette in dubbio che di solito si tratta di adolescenti provenienti da famiglie sfasciate, da ambienti degradati con genitori tossicodipendenti o madri prostitute, ciò però non deve portare a sottovalutare il pericolo che possono costituire per la società.

Ne sono un esempio i “ninhos de rua” in Brasile o quelli che vivevano nei sotterranei in molti paesi dell’ex Unione sovietica alla caduta del regime comunista. Si trattava di bambini induriti dall’esperienza, di adolescenti sbandati che facevano uso di droga, di ragazzine che si prostituivano già 13 anni, ma che spesso rubavano, scippavano, spacciavano se non uccidevano con più determinazione e freddezza degli adulti.

 

In Italia fortunatamente non si sono mai raggiunti questi estremi, anche se ogni tanto qualche caso eclatante balza alle cronache, però queste esperienze ci devono ricordare che si tratta di un pericolo effettivo. Da un’inchiesta di un noto giornale (Panorama 3/2/2005), poi ripresa da una nota trasmissione televisiva, è emerso che la stragrande maggioranza dei minorenni, autori dei delitti più efferati degli ultimi 15 anni, avevano esaurito il loro conto con la giustizia dopo appena 4 o 5 anni.”Le leggi molto permissive – dichiarò alcuni anni fa ad un giornale l’ex ministro della giustizia Castelli – che escludono di fatto la punizione in favore della rieducazione sono nate in un periodo in cui i ragazzi arrestati erano teppisti più che criminali”. La legge nel nostro paese è stata fatta negli anni ‘50 quando la criminalità giovanile era limitata per lo più a ragazzi sbandati senza famiglia.

Il giornale “La repubblica” del 29/5/07 riportava la notizia che a Napoli “ragazzini venivano armati e mandati al macello dalla camorra senza alcuna cognizione di quella che sarebbe stata la loro sorte.” Nello stesso articolo i minorenni erano paragonati ai bambini soldati in Africa. Se diamo uno sguardo al resto del mondo vedremo che in molti paesi i minorenni si macchiano di crimini gravissimi, uccidendo spesso per pochi soldi quando non vengono arruolati dalla malavita organizzata, per questo motivo occorre non sottovalutare questo pericolo e i minorenni che si rendono colpevoli di gravi reati devono essere almeno rinchiusi in centri specializzati, fino alla maggiore età.

 

Le misure. Sono molte le possibilità di intervento, riportiamo le più comuni:

Abbassare la punibilità a 12 anni. Non diciamo che devono andare in carcere, ma almeno che restino in una casa famiglia o in strutture idonee fino alla maggiore età. Oggi i ragazzi maturano prima, molti a 12 anni hanno già le prime esperienze sessuali, spesso fumano o si fanno lo spinello, perché lasciarli liberi con la sensazione di impunibilità? È una misura indispensabile in caso ci si trova di fronte ad incalliti assassini.

Si può essere indulgenti la prima volta, ma davanti ripetuti atti di microcriminalità come furti, scippi ecc. anche i minori di 16 anni devono essere messi in grado di non nuocere. Se scappano dalle case famiglie, vanno poi rinchiusi in istituti di rieducazione da cui è difficile allontanarsi.

 

Inoltre, si deve prevedere espulsione per i minorenni stranieri che commettono reati. Devono essere riaccompagnati a casa e restituiti alle famiglie. Se la loro famiglia è in Italia e si scopre che sono i genitori stessi ad indurlo a spacciare o a rubare, bisogna espellere tutta la famiglia.

 

LA VENDITA di ARMI

La disciplina legislativa relativa alle armi ha un ruolo fondamentale nella prevenzione e repressione dei reati. La legge italiana prevede sanzioni piuttosto pesanti a carico di chi detiene, commercia o fabbrica abusivamente armi, soprattutto se si tratta di armi da guerra. Tuttavia anche se prevale l’idea del disarmo della popolazione, esiste una grossa differenza tra teoria e pratica, in quanto, anche se proibite, nel nostro paese le armi sono facili da procurare al mercato nero.

Il possesso legale di armi, comunque, è un argomento di cui si discute in tutte le parti del mondo. Si possono intravedere due posizioni contrapposte: una che reclama il diritto di difesa e, quindi, la più completa libertà del cittadino di comprare o possedere armi, posizione molto diffusa negli Stati Uniti, e una che protende al disarmo totale della popolazione, opinione molto comune tra i partiti di sinistra.

 

Vendita libera. Una popolazione armata, con pistole e fucili che si vendono nei supermercati quasi si trattasse di attrezzi da giardino, è una cosa inaccettabile in una società moderna. Tutti i giorni la società americana sperimenta la follia della libera circolazione di questi strumenti di morte: stragi, adolescenti che si procurano con facilità un’arma e sparano nelle scuole, persone disturbate o semplicemente licenziate che ammazzano a caso ecc.. Le statistiche dicono che nel 2011 negli Usa c’erano circa 400 milioni di armi in circolazione e che negli ultimi anni sono morte 400.000 persone uccise da armi da fuoco.

Possedere delle armi è un fattore di facilitazione all’aggressività, se non fosse altro per il fatto che quando uno perde le staffe prende una pistola e spara distruggendo la vita degli altri, ma spesso anche la propria.

Inoltre avere un’arma in mano dà un falso senso di sicurezza, rende le persone impavide e pronte ad accettare qualsiasi sfida. Nessuno di essi tiene presente che anche gli altri sono armati e spesso hanno un fucile molto più potente del loro.

“I cittadini che vanno in giro con una pistola – diceva un famoso uomo politico, di cui ci sfugge il nome – hanno già un piede o in prigione o nella tomba”. Non aveva tutti i torti, se chi è armato litiga, non è difficile che ci scappi il morto. In un momento di ira anche la persona più buona del mondo può perdere il controllo e sparare a qualcuno. Bisogna, poi, considerare che la nostra società non è composta solo da persone mature, responsabili e equilibrate, ma anche da psicotici, individui con problemi mentali, gente frustrata, che fa uso di droghe, alcolizzati, minorenni e vecchi arteriosclerotici.

In ultimo, non bisogna dimenticarsi della malavita organizzata. Per questi criminali potersi portare dietro un’arma legalmente senza alcuna restrizione è un grosso vantaggio. Politica che favorisce chiaramente anche la microcriminalità, poter comprare in un negozio rende tutto più semplice a chi ha intenzione di fare una rapina o commettere un omicidio (ad es. uccidere l’ex moglie). In conclusione, è impensabile pensare che le armi possono essere considerate delle merci comuni e vendute liberamente nei negozi.

 

    Vendita proibita. Anche la posizione opposta cioè l’assoluto divieto di vendere armi, che possono possedere solo i poliziotti, è impraticabile soprattutto perché non ci si può opporre a coloro che reclamano il diritto di legittima difesa nel caso siano attaccati o minacciati da qualcuno. Purtroppo le forze dell’ordine non possono essere presenti dappertutto, né riescono a difenderci sempre dai criminali. Chi vive, ad esempio, in zone isolate per arrivare al primo posto di polizia a volte deve fare 50 km. Come pure, in molte zone i commercianti devono possedere una pistola per evitare di essere rapinati in continuazione, senza contare che chi fa la guardia notturna non è molto credibile se non ha un’arma con cui difendersi. Per questo motivo anche la posizione opposta con il totale disarmo della popolazione è impraticabile.

 

Vendita con severe restrizioni. È sicuramente la soluzione migliore ed anche quella più diffusa nel mondo. In pratica la licenza di detenzione è rilasciata soltanto a chi ha due requisiti: attestato di sanità mentale e fedina penale pulita.

 

Certificazione di uno psichiatra. In cui si attesta che il cittadino non soffre e non ha mai sofferto di problemi mentali o sia tossicodipendente o alcolizzato. Questa documentazione non deve essere producibile con una visita sommaria, al massimo di mezz’ora, se mai ben pagata, ma dopo una serie di incontri di 45 minuti e un periodo di prova di un anno. In altre parole, non si deve ridurre a una formalità e nel caso la persona si rende protagonista di fatti di sangue anche lo psichiatra che lo ha visitato deve incorrere in sanzioni (ad esempio, non potrà più rilasciare certificati di sanità mentale per due anni), ciò al fine di responsabilizzarlo. È anche importante che la commissione prima di concedere la licenza esamini la storia clinica del soggetto. Se ha sofferto di depressione, prende o ha preso in tempi recenti psicofarmaci o sia stato coinvolto più volte nel passato in risse o fatti violenti, deve rifiutargliela.

Precedenti penali. Chi vuole possedere un’arma deve avere una fedina penale pulita, cioè nel casello giudiziario non ci devono essere carichi pendenti. Il che significa che la polizia deve rilasciare il porto d’armi soltanto a chi non ha mai commesso reati. In particolare il porto d’armi deve essere rifiutato a chi nel passato sia appartenuto alla mafia o alla malavita organizzata. È importante evitare che i delinquenti, specialmente mafiosi o camorristi, circolino armati.

Una buona idea è anche quella di distinguere tra il porto d’armi vero e proprio, che è il permesso di andare in giro con un’arma, e il possesso legale per difesa domestica. Questo secondo tipo di licenza, può essere concesso con più facilità, in quanto si tratta solo della licenza di tenere una pistola tra le mura domestiche per la difesa personale, senza la possibilità di portarla per strada.

Analoga distinzione deve farsi per i cacciatori che devono essere in possesso di licenze di caccia. È bene, però, porre un limite al numero di armi che possono possedere (a volte arrivano a tenere un vero arsenale in casa) e imporre certe norme di sicurezza (ad es. le armi devono essere custodite in armadi blindati per evitare che finiscano nelle mani di minori).

 

IL TRAFFICO di ARMI. L’azione governativa contro il traffico illegale di armi è motivata sia da ragioni politiche che sociali e non è indotta solo dalla necessità di tutelarsi dall’azione di forze destabilizzanti, ma anche dal bisogno di contrastare questo tipo di commercio, così influente sulla criminalità comune.

Le armi, infatti, sono gli strumenti di base per effettuare rapine, commettere omicidi, preparare attentati o scatenare una guerra con altre bande per il controllo del traffico di droga o di altre attività illecite e per azioni terroristiche. Ad esempio, Camorra e Mafia non avrebbero vita facile se trovassero gravi problemi nel procurarsi le armi di cui hanno bisogno per le loro attività.

 

Le misure. Le misure di polizia da adottare sono le solite che si usano contro la malavita organizzata: adescamenti, infiltrazioni di agenti in queste bande, ma soprattutto bisogna tendere delle trappole. Agenti in borghese devono fingere di volere comprare armi da uno di questi commercianti. Una volta che hanno raccolte prove sufficienti, procedere agli arresti.

 

Un’altra strategia è quella di fare spesso dei posti di blocco nei luoghi maggiormente a rischio, cioè quelli frequentati dalla criminalità organizzata. Se nel portabagagli dell’auto di queste persone vengono trovate delle armi, queste devono farsi minimo 5 anni in prigione. In questo modo si complica loro moltissimo la vita.

Poter mettere dentro un criminale soltanto perché trovato in possesso di un’arma da fuoco costituisce un grande vantaggio da non sottovalutare. Inoltre, bisogna prevedere pene severe per i commercianti di armi, perché di solito supportano i malavitosi, anzi la maggior parte delle volte questo tipo di traffico è in mano alla mafia.

 

IL TERRORISMO

Molti Stati devono affrontare questa minaccia, che può venire sia dall’interno, a causa della presenza di gruppi rivoluzionari (si pensi alle brigate rosse in Italia negli anni ‘70) sia dall’esterno, attraverso l’infiltrazione di soggetti appartenenti ad organizzazioni terroristiche internazionali, tipo Al Qaeda.

 

    Il terrorismo interno. In questi casi è difficile dare delle indicazioni di carattere generale, perché le cose possono cambiare sensibilmente a seconda delle situazioni. A volte si tratta di gruppi isolati, male organizzati, con poche cellule ancora attive, altre volte di estremisti che di tanto in tanto svolgono azioni di guerriglia o mettono bombe, in altri casi ancora di movimenti ben organizzati che possono diventare un vero pericolo per la democrazia. In ogni caso non bisogna sottovalutare il loro piccolo.

 

Le misure. Per primo occorre “togliere l’acqua ai pesci” come si dice in gergo, questo con due tipi di azioni:

1) Individuare tutti i centri ideologici e i partiti di estrema sinistra o destra in cui si fa proselitismo e si diffondono certe idee. Se ci si accorge, ad esempio, che in un certo centro sociale si professano fedi estremiste è necessario chiuderlo. È il motivo principale per cui nel 1974 fu arrestato Renato Curcio, fondatore delle brigate rosse, nonostante quest’ultimo non fosse stato mai coinvolto in fatti di sangue. La democrazia deve difendere se stessa da chi vuole sovvertirla con la violenza (chi vuole andare al governo, lo deve fare soltanto attraverso elezioni democratiche), da partiti autoritari che vogliono andare al potere per instaurare una dittatura ecc. ecc.. In altre parole bisogna tenere sotto controllo tutti i luoghi e le associazioni dove questi movimenti terroristici possano reclutare nuovi affiliati. Nel caso dei fondamentalisti islamici bisogna espellere tutti i religiosi che nelle mosche predicano l’intolleranza e la guerra santa.

 

2) Isolare i terroristici. Un altro tipo di azione che si è mostrato molto efficace è togliere ogni tipo di sostegno ai terroristi, evitando che abbiano un seguito nella popolazione, questo anche con un’intensa campagna ideologica condotta sui massi media.

Il vero pericolo, infatti, è che se riescano a far presa su una fascia della popolazione, hanno poi gioco facile ad arruolare nuovi adepti. Se, invece, si riesce ad isolarli e a togliere loro ogni possibile appoggio popolare, si rende molto difficile la loro vita, ad esempio, si riuscirà più facilmente ad abbattere il muro di omertà di cui spesso godono e la gente segnalerà ogni movimento sospetto.

Le altre misure per affrontare il terrorismo sono quelle normali suggerite per la malavita organizzata: intercettazioni telefoniche, pedinamenti, trappole ma soprattutto infiltrazioni di agenti. Cosa ancora più importante è che quando si cattura una di queste teste “calde” bisogna metterla in prigione e tenercela. Per i pentiti vale lo stesso discorso fatto per la mafia, sconti di pena sì, ma solo se permettono degli arresti o lo smantellamento di altre cellule.

 

   Il terrorismo internazionale. Attualmente il pericolo maggiore per la maggior parte delle democrazie occidentali viene dall’estero, in particolare da Organizzazioni fondamentaliste islamiche, come Al Qaeda.

La prima cosa da fare è evitare di intromettersi nelle faccende mediorientali e di interferire negli affari interni di altri stati. È chiaro che se si manda un contingente militare di 3 mila uomini in Afghanistan, non ci può lamentare di finire nel mirino di questi gruppi.

La seconda misura è quella di concedere i visti di immigrazione con oculatezza, evitando di fare entrare qualsiasi persona è stato coinvolta nel passato nella lotta armata in Medio oriente. Inoltre, è meglio favorire l’immigrazione da paesi, come l’Argentina, il Brasile o quelli dell’est europeo, che hanno una cultura e una religione simile alla nostra. Il processo di integrazione sarà molto più facile e non si correranno pericoli di alcun genere.

Per terzo, come per il terrorismo interno bisogna tenere sotto controllo gruppi di estremisti che propagandano ideologie violente. Se si lascia che gli stranieri in Italia fondino scuole religiose in cui si demonizza la nostra cultura e si insegna a considerare i paesi occidentali come dei nemici, non c’è poi da meravigliarsi se tra loro spunta qualche testa calda che incomincia a mettere bombe. Nessuna tolleranza, per chi è intollerante. Benvenuto a chi vuole venire a lavorare da noi, ma sempre che accetti di rispettare le nostre istituzioni e che desideri integrarsi nel tessuto sociale, anche se professa una religione diversa da quella cristiana.

 

L’azione ideologica, quindi, deve andare in due direzioni: isolare i violenti e sostenere la maggioranza moderata. Sarebbe un grave errore, infatti, fare di tutte le erbe un fascio, perché significherebbe fare un regalo enorme a questi signori. Ad esempio, le autorità italiane dovrebbero ogni tanto contattare i leader delle comunità religiose e coinvolgerli in attività (chiedendo loro altresì che nella preghiera del venerdì nelle moschee predichino contro la violenza e l’intolleranza). In altre parole, da una parte bisogna stabilire dei buoni rapporti con i moderati e con coloro che intendono rispettare le culture altrui, dall’altra bisogna fare terra bruciata ai terroristi e ai fondamentalisti.

 

 

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LA CORRUZIONE

Il dizionario enciclopedico alla voce corruzione recita: “Reato che si realizza quando un pubblico ufficiale (ad esempio un assessore comunale) si accorda con un privato cittadino (ad esempio un imprenditore) per compiere, dietro pagamento di una somma di denaro, un’attività funzionale della pubblica amministrazione, per omettere o ritardare tale attività o per compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio”.

La corruzione è uno dei principali problemi con cui non solo le democrazie, ma qualsiasi regime deve confrontarsi. Anzi nelle dittature la corruzione e il nepotismo sono molto più diffusi che nei regimi democratici, era molto comune persino nei regimi comunisti dei paesi dell’est europeo. Secondo gli studiosi, infatti, “Più il potere è di pochi, meno libertà e trasparenza c’è, più la società è corrotta. La democrazia, quantomeno consente di cambiare spesso governanti, lasciando meno tempo alle tentazioni e punendo i corrotti”.

È un fenomeno endemico nei paesi di cultura latina, soprattutto nel sud dell’Europa o del Sudamerica, ma non risparmia nessuno. Esiste persino in Germania o nei paesi anglosassoni che hanno fama di essere molto più seri, ne è prova il fatto che anche in queste nazioni di tanto in tanto scoppiano degli scandali. Ciò che cambia è la diffusione del fenomeno. Nei paesi più seri, soprattutto del nord Europa, è un fatto marginale che riguarda una minoranza dei politici, ma soprattutto nonostante qualcuno ci “guadagni sopra”, comunque le cose si fanno, i lavori pubblici procedono, il governo riesce a portare avanti la sua linea politica. Al contrario, in certi paesi del sud, si dà solo l’impressione di fare qualcosa, poi i soldi spariscono senza aver prodotto niente di concreto.

Come contrastare la corruzione politica. Secondo le stime di alcuni studiosi di scienza politica esistono quasi 40 forme di corruzione, a cominciare dalle tangenti, ai favoritismi negli appalti di opere pubbliche, per finire alle somme che certi amministratori “incassano” per fare assumere qualcuno in un ente pubblico. Per questo motivo non esiste un’unica “formula” per combattere questo fenomeno negativo, ma per ogni forma di corruzione bisogna studiare un’opportuna strategia di intervento. In effetti si tratta di una tematica che va scomposta in sotto tematiche. La lotta alla corruzione e al clientelismo, comunque, deve costituire un obiettivo trasversale di tutti e ogni ministero per approntare misure specifiche per cercare di limitare il fenomeno nella sfera di sua competenza.

Le indicazioni di carattere generale. A parte le misure specifiche, da studiare settore per settore, questi sono i metodi più efficaci suggeriti dagli esperti per combattere il fenomeno.

 

La trasparenza. È ritenuta una delle migliori strategie per combattere la corruzione. Tutti gli enti locali o le società che comunque ricevono denaro pubblico devono essere tenute a pubblicare i loro bilanci e a dichiarare dettagliatamente spese ed entrate. Secondo “Trasparency International” l’agenzia non governativa che si batte contro la corruzione nel novembre 2009 l’indice di trasparenza (che va da 10, massima fiducia nella trasparenza, fino a 0) nel nostro paese è sceso a 4,3, facendoti slittare di 8 posizioni nella classifica mondiale. Siamo scesi dal 55° posto a 63°. Secondo la stessa agenzia la corruzione ci costa ogni anno ben 60 miliardi di euro!

La trasparenza nei bilanci e nelle attività consente i controlli non solo alla stampa, agli oppositori politici ecc., ma anche ai semplici cittadini, solo così gli amministratori staranno attenti a non fare favoritismi per non finire sui giornali il giorno dopo. La trasparenza esige che tutti possano controllare tutti. Anche le dichiarazioni dei redditi dei parlamentari devono essere rese pubbliche in modo che tutti possono riscontrare se ci sono stati arricchimenti illeciti. Dal momento che si entra in Parlamento il diritto alla privacy decade. Chi ricopre delle cariche ed è pagato per questo dalla comunità, non può pretendere la segretezza.

 

Trasferire i funzionari della pubblica amministrazione ogni 5 anni. Lo scopo è quello di impedire che si formino una rete clientelare e cerchino appoggi politici.

 

Divieto del doppio lavoro per gli impiegati pubblici. È chiaro che il funzionario del Ministero dell’Entrata che nel tempo libero compila dichiarazione dei redditi, sarà portato a fare gli interessi dei suoi clienti. Se si vuole moralizzare il settore i funzionari pubblici non possono svolgere attività di libera professione nel settore in cui operano.

 

    Controlli tramite Internet. La sede centrale deve poter accedere ai computer delle sedi locali per verificare il lavoro, i bilanci ecc., persino conoscere le percentuali di assenteismo del personale. Oggi le banche ricorrono normalmente a questi tipi di controllo, perché non estendere questo sistema anche alle amministrazioni pubbliche? Gli enti locali, poi, dovrebbe essere controllati dal governo centrale.

 

Conflitto di interesse. Se il giudice onorario ha una partecipazione in una “casa Famiglia” (quelle che accolgono i bambini tolti alle famiglie), come succede in molti paesi come l’Italia, sarà invogliato ad incrementare il numero dei suoi “piccoli clienti”. Se lo zio, direttore dei lavori, è chiamato a controllare l’impresa del nipote che ha vinto la gara di appalto di un’importante opera pubblica, chiaramente sarà portato ad essere accondiscendete. In tutti i settori il “controllante” deve essere diverso dal “controllato” e bisogna predisporre le cose affinché l’ufficiale pubblico non abbia interesse a favorire alcun privato.

 

    Regole semplici, ma severe per affidare gli appalti dei lavori pubblici come da noi suggerito nel capitolo sul ministero dei lavori pubblici. Ad esempio se si proibisce il subappalto, resta difficile fare tanti giochetti. Altro esempio, se esiste una regola che bisogna depennare dall’elenco tutte le ditte che eseguono male i lavori o li consegnano in ritardo, resta poi difficile per gli imbroglioni ripresentarsi alle gare di appalto. Come pure bisogna pretendere precise garanzie dagli imprenditori che vincono l’appalto per l’esecuzione di un’opera pubblica, per evitare che i politici facciano vincere la gara ad “amici” loro.

 

    Pene certe e severe per chi è scoperto. Oggi in Italia sono in molti ad approfittare del denaro pubblico perché sanno, che in un modo o in un altro, tra processi e appelli, se la cavano sempre. Di tutte le persone arrestate per tangentopoli negli anni ‘80, dopo 6 anni quelle rimaste in prigione si potevano contare sulle dita di una mano. Per non parlare di indulti e di condoni; l’ultimo è stato la prescrizione dei reati amministrativi nel 2006 del governo Prodi che ha cancellato con un colpo di spugna tutti i reati contabili.

In alcuni paesi come l’Italia i funzionari corrotti non vengono neanche licenziati. L’unico strumento, infatti, per punire quelli finiti sotto inchiesta, è la sospensione cautelare. Non viene applicata quasi mai perché nel caso l’indagato viene assolto in giudizio, poi, il dirigente che l’ha sospeso deve pagare le spese di persona (Report, su Raitre).

Non solo, ma spesso dopo il processo, gli impiegati licenziati sono tornati a lavorare, al massimo sono stati trasferiti ad altri incarichi.

 

L’Interdizione da alcuni lavori per chi viene condannato. La legge deve prevedere che le persone condannate, una volta pagati i loro debiti con la giustizia, per 10 anni possono fare solo lavoro dipendente. Se una persona, ad esempio, viene arrestata perché ha emesso fatture false, quando esce di prigione non deve avere la possibilità di aprire un’altra società e ricominciare da un’altra parte. Allo stesso modo chi è sorpreso a stampare denaro falso, non potrà aprire una tipografia, una volta scontata la pena.

 

Semplificazione delle pratiche burocratiche. Stabilendo procedure sicure e semplici, non si creano sacche grigie di inefficienza in cui possono prosperano di furbetti. In fondo se la pubblica amministrazione funziona non c’è bisogna di dare mance.

 

Retribuzione adeguate. Sicuramente aumentare gli stipendi dei colletti bianchi, come hanno fatto a Singapore alcuni anni fa, non basta a risolvere il problema, ma aiuta molto. Il problema si pone in modo più evidente quando gli impiegati e persino i dirigenti hanno stipendi da fame e faticano a sfornare il lunario, allora la tentazione di “arrotondare” con pratiche illecite più essere molto forte.

 

La questione morale. Occorre svolgere una continua opera di sensibilizzazione ai valori etici, in modo che sia diffusa la condanna di tutte le pratiche clientelari e di appropriazione di beni pubblici, cercando altresì di far capire che il denaro non è l’unico valore di questa società. Questo compito spetta anche alla scuola, ai mass media ecc., che non si devono stancare di proporre valori morali.

Una buona idea è quella di indire ogni anno delle manifestazioni in cui si premia le persone che si sono distinte per l’onestà. Insomma bisogna incidere profondamente cambiando la mentalità e facendo nascere una nuova moralità civile. Se non ci sente colpevoli di nulla, se ogni “affare” anche sporchissimo è considerato un business come gli altri, la corruzione si propaga indisturbata. I responsabili si giustificano sempre con le medesime ragioni: “tutti lo fanno; gli altri sono peggio di noi, in fondo non abbiamo fatto del male a nessuno; lo abbiamo fatto per gli azionisti, nessuno è stato costretto ecc.”.

 

Questi, invece, i rimedi suggeriti dagli esperti nordamericani:

La privatizzazione. Se si vuole evitare favoritismi, raccomandazioni e corruzione occorre privatizzare le società pubbliche in tutti i settori in cui è possibile farlo, cioè quando si può creare senza difficoltà un mercato. Ad esempio, se in Italia la Rai fosse privatizzata non verrebbero dati certi incarichi milionari a società esterne o le assunzioni verrebbero fatte in modo clientelare. In effetti, come diremo a proposito delle public utilities, bisogna affidarsi a società pubbliche solo quando ci troviamo in presenza di Monopoli naturali, come le ferrovie o le autostrade. Negli altri casi occorre passare la gestione delle aziende nelle mani dei privati.

 

La responsabilità. In ogni settore ci deve essere un responsabile, cioè una sola autorità che decide. Al contrario, quando la gestione di un servizio dipende da più enti locali o più autorità, si possono creare le premesse per la corruzione. In effetti, quando la responsabilità è chiara. Prendiamo il caso della raccolta dei rifiuti urbani, tutti sanno che dipende dal comune. Se si crea un grave disservizio, ad esempio la spazzatura rimane nelle strade come successe a Napoli nel 2008, la gente è pronta ad incolpare il sindaco. Al contrario, se le responsabilità sono divise tra più enti o più autorità, è facile giocare a scarica barile.

 

    Le trappole. È uno dei metodi più efficaci usato con successo negli Stati Uniti. Un agente si presenta in incognita e offre una tangente ai politici, filmando tutta la scena. Se cade nella trappola il politico non ha nessuna scusante o non potrà proclamarsi in alcun modo innocente.

 

Incentivi per chi collabora. Negli Stati Uniti c’è una norma che stabilisce che se un impiegato denuncia la ditta dove lavora per evasione fiscale o per corruzione, ha diritto a 1/3 delle somme recuperate. Il che significa, dato che spesso si tratta di grosse somme, che l’impiegato potrà vivere 20 anni senza lavorare o avviare un’attività propria. Molti dipendenti incominciano a raccogliere prove già dai primi mesi di lavoro. Nello stesso tempo la società non sono molto propense ad evadere perché non sempre possono contare sull’omertà dei propri dipendenti.

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