8 – LA POLITICA FISCALE

CAPITOLO IX

LA POLITICA FISCALE

L’imperatore romano Marco Aurelio, circa 2.000 anni fa, scriveva che le tasse sono il prezzo della civilizzazione. Lo scopo principale dell’imposizione fiscale è, infatti, quello di procurare le risorse finanziarie per realizzare i programmi di governo e di spesa pubblica. Se i cittadini vogliono dei servizi: strade, scuola, polizia, non esiste altra alternativa.

La politica fiscale, di competenza del Ministero delle Entrate, ha soprattutto quattro funzioni:

     1) Raccogliere risorse attraverso l’imposizione fiscale, che, oltre a garantire i mezzi economici per finanziare la spesa dell’amministrazione pubblica e i fondi utili a promuovere lo sviluppo, servono per dotare il paese di moderne infrastrutture e finanziare lo stato sociale.

 

2) Regolare l’economia in quanto il fisco è anche un importante strumento di politica monetaria. È utile per regolare i cicli economici, per promuovere sviluppo o per intervenire sull’inflazione: un pericolo fortemente temuto da tutti i governi.

   Si parla di politica fiscale espansiva quando si vuole stimolare la domanda aggregata riducendo le tasse e incrementando la spesa pubblica. Ad esempio, durante una recessione, se si abbassano significativamente le imposte, i cittadini avranno una maggiore disponibilità di denaro da spendere in consumi e investimenti. Stesso effetto ha l’aumento della spesa pubblica in quanto lo Stato incrementando gli investimenti, crea maggiore occupazione e maggiore richiesta di beni.

Una politica fiscale restrittiva è, invece, caratterizzata da una contrazione della spesa pubblica o da un incremento della pressione fiscale (o da ambedue le cose insieme, come si fa di solito). L’imposizione fiscale, infatti, ha conseguenze indirette sull’economia; influenza decisioni di lavoro, investimenti e risparmi e queste decisioni a loro volta influenzano altri soggetti.

 

3) Conseguire l’equità sociale. La politica fiscale, come abbiamo visto, è lo strumento più usato per ridurre le disuguaglianze dei redditi e distribuire i benefici economici del sistema in modo più equilibrato. Oggi in tutti i paesi sviluppati, infatti, si applicano imposte progressive sul reddito, il che significa che l’imposizione fiscale aumenta con l’aumentare del reddito.

 

4) Gestire il bilancio dello stato. Detto anche esercizio finanziario è il documento giuridico contabile redatto dall’amministrazione al fine di illustrare la gestione delle entrate e delle spese. Nel buon tempo antico, i governi si sentivano in obbligo di pareggiare il bilancio fiscale, oggi non è più così, normalmente le uscite complessive risultano inferiori alle entrate e spesso il pareggio del bilancio è sacrificato ad altri obiettivi. Non andiamo avanti perché ne abbiamo parlato nel capitolo “Il ministero del tesoro”.

 

I PRINCIPI DELL’IMPOSIZIONE FISCALE

Nel lontano passato chi aveva il potere, spesso, prelevava le tasse in modo arbitrario e ingiusto. Un nobiluomo presso la corte di Luigi XIV poteva essere del tutto esentato, mentre un contadino della Normandia era gravato pesantemente. Per fortuna tali sistemi sono stati nel tempo abbandonati e si è incominciato a parlare di equità fiscale, il che significa che le persone a parità di reddito devono essere tassate in modo uguale.

 

Oggi l’imposizione fiscale negli stati moderni si basa su 3 principi: quello del beneficio, quello della capacità contributiva e quello dei consumi.

Il primo consiste nell’imporre le imposte in proporzione ai benefici che i cittadini ricevono dai programmi pubblici. Chi usa, ad esempio, quotidianamente la macchina è giusto che paghi una tassa di circolazione, mentre chi non ha mezzi privati di trasporto, non deve in alcun modo concorrere alle spese per il mantenimento del manto stradale. Come pure chi ha i figli all’università è giusto che paghi una tassa di iscrizione e così via.

 

Il principio della capacità contributiva, invece, implica che le somme da pagare come imposte sono in relazione con il reddito, il patrimonio e le capacità contributive. In altri termini, è giusto che i ricchi proprietari fondiari paghino molte più tasse del contadino che ha soltanto un piccolo podere. Oggi, infatti, in quasi tutti i paesi del mondo si applicano imposte progressive sul reddito. Ad esempio, in Italia a una famiglia con un reddito annuale di 60.000 euro lorde, alcuni anni fa, veniva applicata un’aliquota del 34% mentre a coloro che guadagnavano soltanto 30.000 euro annui veniva applicata un’aliquota del 27%. Per i redditi più alti, sempre fino a pochi anni fa, si arrivava addirittura ad aliquote del 54%.

 

Il terzo principio è quello dei consumi, che impone di pagare secondo i consumi. Ad esempio, è giusto che chi beve molta birra, paghi più tasse di chi beve solo acqua. Per questo tipo di imposizione esistono le imposte indirette.

 

LE IMPOSTE

Esistono due tipi principali di imposte: dirette e indirette, ma non sono le uniche, ci sono quelle di successioni, quelle locali ecc. Facciamo una breve carrellata.

 

LE IMPOSTE DIRETTE (sul reddito). Sono quelle prelevate direttamente dalle persone, mediante una dichiarazione dei redditi, di solito annuale. Tassano il reddito degli individui o delle imprese. Sono le principali fonti d’entrata per la maggior parte dei paesi industrializzati. Le imposte dirette sono una realtà moderna, hanno fatto la loro comparsa in Francia nel 1793, in Inghilterra nel 1799 e in Italia soltanto nel 1964. Oggi nessuno Stato può fare a meno di questo tipo di entrata, anche se è ancora oggetto di accese discussioni la scelta della “base imponibile”, cioè la definizione del reddito su cui va applicata l’imposta.

Nei moderni sistemi tributari c’è la tendenza a definire come reddito imponibile non solo quello proveniente dal lavoro e dal risparmio (salari, profitti, interessi), ma anche quello proveniente da arricchimenti imprevisti o da vincite di gioco. Per quel che riguarda il reddito delle persone fisiche, in certi paesi i contribuenti sono i nuclei familiari, in altri sono singoli individui. In Italia, nel 1976 si è passati, dopo una sentenza della Corte Costituzionale, dalla prima soluzione alla seconda.

L’esperienza dimostra che un’imposizione fiscale equa ed efficiente dipende sia da un’elevata osservanza da parte dei contribuenti, sia dall’organizzazione di tutto il sistema tributario. Ciò richiede complessi sistemi di registrazione e documentazione, nonché un pubblico di contribuenti istruiti e disposti a collaborare.

Ove uno di questi elementi faccia difetto, l’imposizione diretta finisce col gravare in misura sproporzionata e iniqua sui redditi che possono venire facilmente accertati e non possono essere evasi, che sono quelli dei lavoratori dipendenti. Ne parleremo più avanti, quando affronteremo il problema dell’evasione fiscale.

 

LE IMPOSTE INDIRETTE (sui beni di consumo). Sono quelle prelevate sui beni e sui servizi, ne sono esempi le imposte sui consumi, le imposte sulle vendite e sul valore aggiunto (IVA), che ha un equivalente un po’ in tutti paesi. La base imponibile di queste imposte è di solito pari al valore della produzione o al prezzo pagato per acquistare il bene o alla quantità prodotta o scambiata (imposte “specifiche”).

L’IVA rappresenta il principale strumento dell’imposizione fiscale indiretta in numerosi paesi, compresi gli stati membri dell’Unione Europea. Differenti sono, invece, le aliquote applicate, che nell’Unione Europea variano dal 15 al 25%. Al fine di evitare le evasioni fiscali, i contribuenti devono adempiere numerosi obblighi contabili e amministrativi, tra i quali la fatturazione delle operazioni e la loro annotazione nei registri di acquisto.

 

LE TASSE di SUCCESSIONE. I due uomini più ricchi del mondo, Buffet e Bill Gates, alcuni anni fa attaccarono Bush per avere abolito le tasse di successione. I loro argomenti: l’eredità è contro la meritocrazia e trasferire le ricchezze ai figli crea una società decadente. È come stabilire che la squadra olimpica americana ai prossimi giochi sarà composta dai figli degli olimpionici di oggi. La discussione è ancora aperta, tra chi vuole abolirla e chi vuole mantenerla, ma forse la cosa migliore è una via di mezzo: esentare l’eredità per i patrimoni fino a una certa cifra; non far pagare niente per la prima casa (non è giusto che un figlio paghi pesanti tasse per ereditare l’appartamento dove abita) e non eccedere con le aliquote (un’imposta intorno al 12 – 15 % è ritenuta accettabile).

 

LE IMPOSTE LOCALI. Ai prelievi stabiliti dallo stato bisogna aggiungere i tributi detti locali, ossia applicati dagli enti locali. In Italia le principali sono: l’IMU (sugli immobili), la tassa comunale per lo smaltimento dei rifiuti urbani e l’IRAP, ossia l’imposta regionale sulle attività produttive, introdotta nel 1998 allo scopo di semplificare il sistema tributario e di avviare il decentramento fiscale verso le Regioni. Della finanza locale parleremo a proposito degli enti locali, nei capitoli successivi.

 

LE TASSE. Sono tributi versati a favore di un ente pubblico a fronte di una prestazione. Le tasse si differenziano dalle imposte perché non sono legate né alla capacità contributiva del soggetto, né alla produzione o al consumo di beni.

Le principali tasse previste dal sistema tributario italiano riguardano i servizi amministrativi e di pubblica utilità su cui lo stato ha competenza esclusiva, come licenze, concessioni, autorizzazioni e così via. Sono ritenute giuste, ma in molti paesi, come in Italia, spesso si esagera. Far pagare circa € 100 per la concessione di un passaporto ci sembra eccessivo.

 

LE PROBLEMATICHE PRIMARIE

Le problematiche aperte, tutto sommato, non sono molto numerose, il problema principale in certi paesi è la pressione fiscale troppo alta o la presenza di un numero eccessivo di tasse. C’è, poi, il grande e discusso problema dell’evasione fiscale, tema che da sempre, non solo nel nostro paese, è uno dei più rilevanti e oggetto di dibattiti. Ma andiamo con ordine.

   Una pressione fiscale troppo alta. Quando è eccessiva scoraggia gli imprenditori ad investire e spinge le industrie a fuggire all’estero, nonché disincentiva i privati a intraprendere nuove attività economiche, limitandosi allo stretto necessario. La riduzione dell’imposizione fiscale è particolarmente importante per le industrie che devono fronteggiare la forte concorrenza internazionale. Meno imposte per costoro significa abbassare i costi di produzione e quindi maggiore competitività sui mercati mondiali. Il che porta benefici per tutti. Ne abbiamo parlato a proposito dei fattori per promuovere lo sviluppo economico.

 

La “Flat tax”. La formula magica dell’estate 2014, secondo il settimanale Panorama, era la “Flat tax”, che significava tassa piatta, cioè un’aliquota unica sui redditi di persone fisiche e società. Nel mondo, fino ad allora, erano ben 40 i paesi che l’avevano già adottata. Essa fu proposta dal grande economista americano Alvin Rabushka (in accordo con Robert Hall) già dal 1981, ma aveva guadagnato solo a poco a poco il consenso di un numero sempre maggiore di governanti.

Non crediamo che l’aliquota unica sia una soluzione praticabile in un paese con un forte debito pubblico come il nostro, farebbe crollare le entrate fiscali non compensati dalla maggiore ripresa economica. A nostro avviso è un passo che si può fare solo una volta che si è portato l’indebitamento pubblico a livelli più ragionevoli.

Tuttavia, i risultati positivi ottenuti in tutti paesi in cui si è dotata la “Flat tax” (a nostro avviso un “lusso” che si potevano permettere solo coloro che avevano un debito pubblico al di sotto dell’80% del Pil), ci devono indurre a riflettere. Una fiscalità troppo elevata, unita a una burocrazia soffocante porta al ristagno economico e alla recessione. Gli imprenditori, ma anche tutte le persone che godono di una certa liquidità sono scoraggiati dall’investire o intraprendere qualsiasi attività davanti un fisco troppo vorace.

Aliquote intorno al 50% o anche di più, come si sono viste nel nostro paese, anche se applicati a persone o società che guadagnano più di 1 milione di euro all’anno, non sono nemmeno immaginabili a meno che non si intenda deprimere l’economia. Scoraggiano qualsiasi imprenditore ad iniziare un‘attività. L’operaio, ma anche tutti i dipendenti, hanno pochi strumenti per fuggire al fisco, i capitalisti possono disinvestire, spostarsi all’estero, depositare i soldi su banche straniere ecc.. Un sistema lo trovano sempre anche se ci sono severe leggi che lo limitano, perciò a nostro parere in nessun paese si dovrebbero applicare aliquote superiori al 44%.

    Un numero esagerato di tasse. Alcuni politici nel passato, in campagna elettorale, dichiararono che in futuro in Italia sarebbero rimaste solo due tipi di imposte: l’Iva e l’imposta sul reddito delle persone fisiche, È stata solo una delle tante promesse elettorali non mantenute (anzi poi sono aumentate). Sarà difficile che un paese possa basare le sue entrate solo su queste due voci, ma il principio è giusto. Diminuire il numero di tasse consegue il duplice obiettivo: riduce la pressione fiscale e nello stesso tempo semplifica la vita ai cittadini, riducendo la burocrazia e il numero degli adempimenti fiscali a cui sono tenuti. Nel 1998, in Italia ce n’erano più di 300, poi sono state diminuite, anche se le cose non sono migliorate molto. In uno stato bene organizzato il numero delle tasse non deve essere più di 25 e l’apparato burocratico e fiscale non deve costituire una giungla all’interno della quale è difficile districarsi, oltre che a costituire un rompicapo per i contribuenti. In effetti ridurre il numero di tasse è strettamente necessario se si vuole semplificare di molto la vita dei cittadini e delle imprese.

 

    Giungla fiscale. Al problema dell’eccessiva pressione fiscale si aggiunge quello di una complicata burocrazia che ogni anno fa perdere mesi di tempo e lavoro alle imprese e ai privati, solo per accertare fatti che sono chiari già dall’inizio (molto dipende anche dalla scarsa qualificazione di certi impiegati o da norme poco chiare). Semplificare è diventato strettamente necessario per evitare che le imprese continuano a fuggire all’estero. In secondo luogo bisogna costruire una rete informatica in modo che le imprese, opportunamente dotate di una password, possono risolvere i loro problemi semplicemente collegandosi via Internet con il Ministero delle entrate.

L’EVASIONE FISCALE

Si tratta di una problematica che può essere affrontata razionalmente soltanto suddividendola in sotto problematiche, a seconda del tipo di imposta a cui si fa riferimento. Vediamo brevemente i vari tipi di evasione. Chiaramente ci limiteremo ai principali strumenti di intervento.

 

LE IMPOSTE DIRETTE. Nei paesi con forte evasione fiscale, come l’Italia, c’è una forte disparità. Da una parte ci sono i lavoratori dipendenti, i pensionati, che sono inquadrati, schedati e hanno ritenute alla fonte, da un’altra un esercito irregolare: liberi professionisti, artigiani, commercianti ecc., “liberi di esercitare la loro discrezionalità” con lo stato. Un paese diviso tra tartassati ed evasori. È davvero così difficile combattere l’evasione?

A nostro parere, in un mondo informatizzato come il nostro, un sistema tributario ben organizzato può lasciare ben poche possibilità di scampo agli evasori. In parole povere, in futuro l’evasione fiscale sarà un fenomeno diffuso solo nei paesi mal governati, con un’amministrazione pubblica corrotta e incapace o pubblici dipendenti infedeli.

 

Le soluzioni. Si tratta chiaramente di problematiche dipendenti dalle cause, in quanto la soluzione, almeno teoricamente, è piuttosto semplice: cercare tutte le cause di evasione e studiare una soluzione per ognuna di esse. Ma vediamo innanzitutto delle indicazioni di carattere generale.

Per primo, se si vuole intraprendere la difficile strada della lotta all’evasione è fondamentale stabilire dei principi chiari su cui muoversi. In altre parole l’applicazione di un’imposta deve essere chiara e certa. Questo principio, considerato fondamentale da Smith, è spesso sottovalutato nei moderni sistemi impositivi. Nei paesi nei quali l’applicazione delle tasse è incerta e arbitraria, il cittadino perde fiducia nel sistema e cerca in tutti i modi di evaderle.

Non solo è necessaria molto chiarezza, ma tutte le norme devono essere racchiuse in testi unici, in modo che sia agevole consultarle. Se esistono dei dubbi in merito a qualcosa, il Ministero si deve preoccupare di diramare subito una circolare applicativa, che deve essere al più presto inglobata nel testo unico. In conclusione, la legge deve essere chiara e precisa stabilire quanto e come si deve pagare una certa imposta e non devono essere fatte eccezioni. Non solo, ma non devono cambiare in continuazione (da noi anche due volte all’anno), costringendo i cittadini ad aggiornarsi continuamente.

In ultimo, non partire sconfitti. Se si comincia a pensare che è impossibile combattere l’evasione fiscale, che ci sarà sempre chi non pagherà nella misura giusta e che non è facile controllare tutto e tutti, si partirà col piede sbagliato. Invece, bisogna partire convinti che uno stato bene organizzato, con leggi chiare e controlli frequenti, può lasciare ben poche possibilità di evasione.

 

Ma veniamo alle misure più comuni che suggeriscono gli esperti:

L’anagrafe fiscale. È lo strumento di base per combattere l’evasione: uno schedario in cui devono convergere tutte le notizie che riguardano il cittadino (o meglio il nucleo familiare). In alcuni paesi come l’Italia, spesso vige il principio: “Una mano non deve sapere che cosa fa l’altra”. Le notizie raccolte nell’anagrafe del comune, non di rado, non sono note alle imposte dirette e viceversa. Gli enti statali, a volte, agiscono come appartenessero ad amministrazioni diverse.

Al contrario, i dati dell’anagrafe devono essere immediatamente comunicati al Ministero dell’Entrate, con uffici periferici in tutte le province e che deve essere l’ultimo destinatario di tutte le informazioni raccolte dagli enti statali, persino di rilevamenti statistici. Spesso da essi è possibile rendersi conto che in una data zona esistono ampie fasce di evasione fiscale.

In parole povere nel “super anagrafe”, presso il Ministero delle Entrate, deve risultare tutto: il lavoro che ognuno svolge, se si è sposati o divorziati, gli immobili di proprietà, le automobili o le imbarcazioni che si possiedono, se si è titolare di licenze commerciali ecc., addirittura se una persona svolge un secondo lavoro in nero o le attività economiche che si hanno all’estero. Da questo schedario deve risultare, persino, se il contribuente ha un tenore di vita superiore alle sue entrate, solo così sarà difficile che una persona non denunci una parte dei redditi.

   

Sanzioni adeguate. Un altro fattore che spesso rende inefficaci le misure contro l’evasione è che le sanzioni sono troppo lievi o permettono facili scappatoie legali. Fino a poco tempo fa era possibile fare ricorso quando l’ufficio delle imposte accertava una certa evasione. I tempi lunghi del processo, la possibilità di corrompere qualche funzionario, l’inefficacia di certe pene facevano sì che, spesso, queste persone se la cavavano con poco. Una volta che un evasore l’aveva fatta franca diventava un cattivo esempio per gli altri. I tempi della giustizia fiscale per questo devono essere certi e rapidi, bisogna organizzare l’amministrazione in modo che funzioni bene. Per i casi più gravi deve essere previsto il carcere. Mentre in paesi come l’USA una buona percentuale della popolazione carceraria è costituita da cittadini dentro per reati finanziari, in Italia questi costituiscono solo una percentuale irrisoria. Nei casi più gravi gli evasori devono finire dietro le sbarre.

 

I condoni. Sono una facile scappatoia per quelli che incappano nella rete. Gli economisti dicono che non devono essere né facili, né frequenti. Gli esperti dicono che non ci dovrebbero essere proprio. Chiunque è colto sul fatto, deve pagare e basta. Se si lascia aperta la porta di servizio, è chiaro che non ci si può lamentare, poi, che nessuno paga le tasse. I contribuenti spesso ci provano perché sanno che, prima o poi, ci sarà qualche condono, con cui mettersi a posto.

 

Le possibilità di evasione. Ogni volta che il legislatore introduce una nuova imposta o una nuova tassa, deve saggiarne tutte le possibilità di evasione e per ognuna studiare delle strategie per renderle difficili. Ad esempio, per l’IMU si possono fare dei controlli incrociati con le bollette dell’energia elettrica o quelle dell’acquedotto, per scoprire le case che non sono state dichiarate. Come pure deve essere premiato chiunque segnali facili scappatoie, in effetti l’amministrazione deve lavorare continuamente per migliorare il sistema e non limitarsi ad eseguire passivamente le direttive che vengono dall’alto. Ad es. una volta rilevato che molte persone affittano gli appartamenti in nero, non solo bisogna partire con dei controlli, ma studiare tutte le contromisure possibili. Se per caso i proprietari dichiarano che l’appartamento è vuoto, ma poi dalle bollette del gas e dell’acqua risultano notevoli consumi, devono scattare dei controlli che se accertano irregolarità si sanziona i proprietari.

La corruzione. In questo settore sia la corruzione che il clientelismo possono essere molto diffusi. Diversi ministri in Italia nel passato si sono resi conto di quanto sia diffusa e capillare la corruzione tra i funzionari fiscali, ciò succede in tutti i paesi in cui c’è una forte evasione fiscale.

 

    Le strategie principali suggerite dagli esperti sono:

1) Trasferimento dei funzionari pubblici ogni cinque anni dalle loro sedi. 2) Stipendi adeguati al tenore di vita, in modo che gli impiegati non siano costretti a “vendersi” per far quadrare bilanci. 3) Licenziamento in tronco in caso si scopre dei dipendenti infedeli, oltre che processo penale e carcere per i casi più gravi. 4) Meccanismi di controllo anche telematici, ad esempio se in una provincia c’è stato un sensibile calo delle entrate fiscali, bisogna subito cercare di scoprire quali ne sono le cause. 5) Controllo del tenore di vita dei funzionari pubblici, se si scopre che qualcuno di essi possiede auto di lusso o gioca tutte le settimane al casinò forti somme, bisogna indagare. 6) Intercettazioni telefoniche, cioè tenere, a turno, sotto controllo i telefoni dei funzionari pubblici. 7) Creazione di un ente che abbia proprio la funzione di indagare sull’onestà degli impiegati fiscali. 8) Divieto di doppia professione. Chi è impiegato al Ministero delle imposte dirette non può fare anche la libera professione o lavorare per uno studio privato. Le cose che si possono fare sono tantissime, se non si ha fantasia basta dare uno sguardo all’estero.

 

Premi a chi denuncia. Negli USA esiste una norma con cui si premia chi denuncia il proprio datore di lavoro che evade il fisco. In altre parole l’impiegato ha diritto a una consistente percentuale sulle somme che si riesce a recuperare. Il dipendente, se si rende conto che la società per cui lavora evade le tasse, può cominciare a raccogliere le prove. Non teme il licenziamento perché le somme a cui avrà diritto sono consistenti e spesso si può permettere di non lavorare per moltissimi anni.

 

    La discrezionalità. Spesso è lasciata troppa libertà al funzionario addetto al controllo. E la discrezionalità può risultare l’anticamera della corruzione, soprattutto quando di fronte al contribuente, che magari denuncia redditi di decine di miliardi, c’è un dipendente del ministero che prende meno di € 2.000 al mese. Il funzionario, invece, si deve limitare a segnalare l’inflazione, deve essere poi qualcun altro a stabilire la sanzione e a esigere la somma. In altre parole gli agenti fiscali, quando individuano un evasore devono limitarsi a fare il verbale, poi sarà il giudice o un ufficiale superiore a stabilire l’ammontare della multa o le penalità. Come pure bisogna rendere più snelle e semplici le procedure, in modo da lasciare scarse possibilità agli evasori.

Controlli sulla spesa. È uno altro metodo di accertamento fiscale molto efficace e molto diffuso nel mondo. Esiste anche in paesi come gli Stati Uniti e il Giappone dove certamente la privacy è tutelata meglio che da noi. I controlli sulla spesa consistono nel verificare se il cittadino che ha acquistato un determinato bene immobile o un’auto di lusso guadagna abbastanza da poterselo permettere. In altre parole, se un operaio che guadagna € 1.100 al mese compra al centro di Milano un appartamento che costa € 800.000, è sufficiente per far suonare un campanello di allarme e far partire ulteriori indagini. In un paese come il Giappone, il cittadino in questione viene convocato dall’ufficio delle imposte dirette dove gli viene chiesta la provenienza di tanto denaro. In questo modo non solo si individuerebbero grosse sacche di evasione fiscale, ma tutte le ricchezze provenienti da traffici illeciti. In conclusione in uno stato moderno non deve essere possibile comprare niente, tranne gli alimenti che servono quotidianamente, senza ricevuta fiscale. Con queste ricevute si può risalire al contribuente, per capire se vive al disopra delle sue possibilità.

 

I residenti all’estero. Gli italiani iscritti all’Aire, che è l’anagrafe degli italiani residenti all’estero, sono in aumento costante ogni anno; al 31/12/2010 erano più di 4,1 milioni. Il motivo principale per cui si sceglie la residenza all’estero è quello fiscale. “Perché restare in Italia, quando ci sono i paradisi fiscali?” Nel 1997 la maggior parte di quelli che chiedevano di trasferire la loro residenza volevano stabilirsi a Londra, ma oggi molti preferiscono paradisi fiscali ancora più attraenti, alcuni sul territorio italiano come la Repubblica di San Marino. Il trattamento fiscale inglese, sempre nell’anno 1997, data dell’articolo da cui abbiamo attinto molti dati, all’epoca era senz’altro molto favorevole: prevedeva 3 aliquote: del 20%, del 24 e del 40% massimo, per tre scaglioni di reddito. Inoltre il reddito imponibile per i residenti non domiciliati era solo quello prodotto o portato in Gran Bretagna.

Nel 2.009 la Guardia di Finanza ha accertato evasioni per 3 miliardi e 300 milioni di euro di italiani che erano ricorsi all’escamotage della residenza all’estero. Come pure migliaia di imprese estere che operano in Italia non presentano nel nostro paese nemmeno la dichiarazione dei redditi. Non è tutto, una società con sede in San Marino quasi ogni anno vince l’appalto per la fornitura di carta e attrezzature per gli uffici alla pubblica amministrazione, solo perché lì l’Iva è più bassa e paga meno tasse. Si parla di “estero vestizione” delle imprese, cioè le imprese italiane, anche se svolgono la stragrande maggioranza delle loro attività in Italia, fanno risultare di essere straniere per sfuggire alla voracità del fisco italiano. È anche il caso di alcune banche. Il risultato è che fanno concorrenza sleale a quelle nazionali. La mafia e gli evasori fiscali, inoltre, come ha accertato una trasmissione Tv (Report del 10/3/2009) portano non solo a San Marino, ma in tutto il mondo, tutto il denaro sporco e quello che è il risultato dell’evasione fiscale.

Se in un paese tutte le persone benestanti si facessero la residenza all’estero, resterebbero soltanto gli operai e gli impiegati! È vero, secondo la legge bisogna effettivamente trasferirsi all’estero e svolgere qui la maggior parte delle proprie attività, ma si tratta di una norma che le persone facoltose possono aggirare con facilità. Basta che si comprino un appartamento a Montecarlo, paghino qualcuno che tre volte alla settimana provveda alle pulizie e arieggi la casa e poi trascorrervi qualche weekend, per essere in regola. Chi va a controllare quando vanno o vengono? Inoltre per un industriale di Genova, Montecarlo è a poche ore di macchina.

È sciocco, per giustificare un tale regime, invocare la regola della reciprocità, in quanto i capitali vengono attratti dove l’imposizione fiscale è più bassa. Quale inglese sposterebbe la residenza in Italia, sapendo che da noi si pagano molte più tasse, per colpa del debito pubblico.

 

È un sistema completamente sbagliato che danneggia fortemente i paesi indebitati e quindi con un’alta imposizione fiscale, cioè proprio quelli che ne hanno più di bisogno. Il principio che va adottato è uno solo: le imposte vanno pagate nel paese dove i redditi sono guadagnati, non dove l’impresa o l’utente ritiene favorevole fissare la residenza. Se si tratta di una multinazionale, deve fare una dichiarazione dei redditi per ogni paese, non è giusto che paghi le imposte solo in uno di essi, mentre fa i miliardi negli altri. In Colombia, il governo non chiede il rendiconto di quanto i propri cittadini abbiano guadagnato all’estero ma solo di ciò che hanno incassato nel loro paese. Inoltre un cittadino per essere considero residente all’estero deve effettivamente abitare qui per almeno 270 giorni all’anno.

LE IMPOSTE INDIRETTE

I modi per controllare chi svolge un’attività commerciale o è un artigiano, sono diversi, vediamoli quelli più noti:

 

Il fatturato. Ogni negozio e ogni artigiano deve avere dei registri in cui indica tutte le merci acquistate (se un gommista, ad esempio, ha acquistato 2.000 pneumatici all’anno, non può dichiarare di averne venduti soltanto 1.200). Se risulta che c’è una notevole differenza con le vendite, scattano i controlli. Un’ulteriore possibilità di verifica deve essere data dalle bolle di accompagnamento, in quanto nessuna merce deve viaggiarne senza. Come pure bisogna limitare al massimo il conto deposito o la tentata vendita, in quanto sono una facile opportunità di evasione.

 

Gli scontrini fiscali. Tutte le imprese devono avere un registro in cui segnano gli incassi, cioè gli introiti giornalieri. Se si fanno spesso dei controlli e si punisce severamente sia il cliente, che non richiede lo scontrino fiscale, che il commerciante, si ridurranno molto le possibilità di evasione. Agenti in borghese devono comprare delle merci per vedere se il commerciante rilascia lo scontrino, oppure appostarsi all’uscita dei negozi e fare delle verifiche. Non solo ma le sanzioni devono essere severe (oltre alla multa la chiusura per un mese), se il commerciante se la caverà con poche centinaia di euro di multa, ci riproverà sempre.

 

Gli studi di settore. Anche se molto criticati, sono comunque utili perché ci possono dare un’idea, abbastanza precisa dell’attività economica di un’azienda. In uso non solo in Italia, sono una serie di parametri (ampiezza dei fabbricati occupati dall’azienda, numero di addetti, fatturato, posizione commerciale ecc.) con cui si “prevede” il reddito medio di un’azienda). Nel caso si rilevano grosse differenze scattano gli accertamenti. Ciò che è sbagliato è usarli per minacciare gli imprenditori, che se non dichiarano quanto previsto da questi studi, possono essere perseguitati con accertamenti che a volte durano settimane, frequenti visite degli agenti ecc.. In parole povere non è corretto usarli come mezzo di intimidazione.

 

Le fatture false. Non solo nel nostro paese spesso emergono di questi scandali. Qualche furbo crea una società che non produce niente, solo fatture false da vendere alle imprese per abbattere il loro reddito.

A nostro avviso, ma anche della maggior parte degli esperti, il problema è risolvibile non solo con controlli incrociati, ma soprattutto con sanzioni adeguate. Se i disonesti se la possono cavare con una multa, non cesserà mai questa truffa ai danni dello Stato. Per questo tipo di reato deve essere previsto il carcere e alle persone che hanno creato queste società fantasma, deve essere interdetto per almeno 20 anni la possibilità di iscrizione alla Camera di Commercio o di fondare nuove aziende, altrimenti ricominceranno da un’altra parte. In effetti, dopo aver scontato la pena, possono fare solo lavoro dipendente.

 

Limitazione del contanti. Nel 2011 è stata introdotta in Italia la norma che non si possono prelevare più di 1.000 euro in banca e né si può pagare beni di valore superiore senza carte di credito o assegni. È una misura abbastanza efficace in uso in diversi paesi, il tutto sta nel non esagerare.

Ad esempio è giusto per il pagamento di merci, ma non per i prelievi da reddito fisso. Non far ritirare al vecchietto la pensione di 1.220 euro ci sembra più una crudeltà, che una misura anti evasione. Inoltre questa limitazione ha il grave difetto che ostacola il commercio ed aggrava le spese di conto corrente, in quanto tutti devono dotarsi di carte di credito e simili.

 

L’EVASIONE nel COMMERCIO CON L’ESTERO

Il commercio con l’estero dà ampie possibilità ai contribuenti di evasione fiscale, per questo motivo bisogna assolutamente predisporre delle misure per contrastare il fenomeno ed effettuare dei controlli.

Le triangolazioni. Una forma di evasione da contrastare è quella delle triangolazioni, di cui abbiamo già parlato nel capitolo sul commercio estero. Se, ad esempio, si importano le camicie dall’India a 2 euro e si vendono in Italia a 10 euro, il commerciante per non pagare le tasse su ben 8 euro di guadagno, crea una società in uno dei paradisi fiscali e poi fa risultare di aver portato la merce prima in questo paese a 2 euro, da qui poi in Italia a 9 euro. Il guadagno dichiarato dall’importatore è così di solo 1 euro a capo. Le tasse ovviamente da pagare nel paese che funge da sponda sono minime, non per niente si tratta di un paradiso fiscale. Permettendo questa pratica si penalizzano seriamente le aziende nazionali.

 

Sottofatturazione. È il metodo usato per la importazione di merci che pagano i dazi, ovviamente più è basso il valore della merce dichiarato, meno dazio si paga. Ad esempio, si importano pigiami da paesi del terzo mondo e si dichiara che il loro valore è di 0,50 euro al chilo, mentre il cotone grezzo costa sul mercato 0,59 al chilo, cioè si dichiara un prezzo inferiore a quello delle materie prime. Non solo è un grave danno delle nostre entrate fiscali, ma si danneggia i produttori nazionali abbassando il costo dei beni importati. Si è calcolato (Report 24/09/2010) che in questo modo l’Italia perde più di 300 milioni di euro all’anno.

    Le soluzioni. Il sistema più efficace per ambedue questi tipi di evasione è quello di introdurre il costo minimo, ad esempio, nel caso sopra citato per i pigiami si paga minimo 1,20 euro al chilo, anche se l’importatore dichiara che costano meno. Si otterranno due benefici: 1) Si penalizzerà pesantemente l’importazione di prodotti scadenti che spesso finiscono nella spazzatura dopo pochi giorni, col problema del loro smaltimento. 2) Si aumenterà il gettito fiscale e si alzerà il costo delle merci importate.

Per le merci di qualità o quelle di lusso occorre introdurre la valutazione. Si prende ad es. un pigiama e si chiede a un esperto o a un commerciante a quanto viene venduto sui mercati mondiali. Se dice 8 euro, si tassa per 8 euro.

 

  I Controlli. Uno dei motivi più spesso indicati dalle autorità per giustificare le loro difficoltà di contrastare questo l’evasione sulle importazioni di merci dall’estero è che “non si possono controllare 1 milione di container al giorno”, che è quanto ne entrano nel nostro paese.

È una concezione sbagliata, come dire ci sono troppi ladri, li lasciamo tutti liberi. Invece bisogna organizzarsi per controllarne almeno il 3 – 5%. Se sono troppi aspetteranno un po’ di più, gli importatori devono tenere presente questi tempi ed organizzarsi.

Si otterranno tre benefici: si ridurranno le importazioni, con grande beneficio per l’industria nazionale, gli importatori staranno attenti a non evadere le tasse e importare merci illegali di ogni tipo, compreso armi e droga, oltre che merci prodotte con materiali nocivi alla salute. Sanno che ci sono dei controlli e se vengono pescati bisogna sospendere loro la licenza di importazione per un anno. Le sanzioni, infatti, non devono limitarsi a semplici ammende, se non ci proveranno sempre, ma essere pesanti. Come pure in caso si scoprono merci avariate, prodotti nocivi alla salute o alimenti adulterati si deve sospendere la licenza di importazione per sei mesi e nei casi più gravi deve essere previsto l’arresto.

 

L’EROSIONE FISCALE

Si parla di erosione quando i contribuenti sfruttano tutte le scappatoie legali per pagare meno tasse. In Italia, abbiamo sia una forte evasione, sia un’ampia erosione della base imponibile consentita da una folla di esenzioni, che specialmente nel passato erano concesse con facilità.

Anche in questo caso la soluzione, almeno a livello teorico, è abbastanza semplice: passare in rassegna tutte le cause di erosione, a partire dalla selva di esenzioni che godono alcune categorie di produttori, e studiare per ognuna delle strategie per porvi rimedio.

 

    La prima misura, quindi, dovrebbe essere quella di sfoltire le categorie che godono di esenzioni. In Italia troppo spesso si ricorreva alla pratica di concedere gravi fiscali, così succedeva che alla fine coloro che godevano di agevolazioni erano troppi: produttori di funghi, allevatori, autotrasportatori ecc.. Il risultato era che venivano a mancare numerose entrate nel bilancio statale. In particolare bisogna evitare di concedere sgravi fiscali a quelle aziende che non devono subire la concorrenza estera.

Un’altra misura per contrastare il fenomeno dell’erosione è stabilire delle regole precise per distinguere tra consumi privati e consumi aziendali. È assurdo, ad esempio, permettere agli imprenditori di scaricare del tutto la bolletta telefonica perché sicuramente, almeno per il 20%, si tratta di telefonate private. Non solo, ma se si permette a chiunque ha un’attività commerciale di scaricare l’IVA per l’acquisto di computer, di costosi cellulari o di lussuose vetture private, si consentirà a costoro di pagare, a differenza dei comuni cittadini, queste cose il 22% in meno.

 

In effetti, il legislatore dovrebbe valutare le varie spese, per stabilire ciò che non è strettamente inerente al funzionamento dell’azienda, come pranzi al ristorante o l’acquisto di autovetture private, da ciò che lo è. Bisogna porre anche dei limiti per quanto riguardano le spese di ristrutturazioni, acquisti di macchinari importanti ecc.. Ad esempio, deve essere permesso di scaricare le spese di rinnovamento di un negozio ogni 10 anni, non meno. Come pure si dovrebbe permettere a tutte a tutte le imprese commerciali di scaricare solo parzialmente le bollette dell’energia elettrica, per invogliare al risparmio energetico. È una buona idea anche mettere dei limiti al leasing, che spesso è solo un sistema per evadere.

Non andiamo oltre, perché la soluzione, come abbiamo accennato, almeno teoricamente, è ovvia: bisogna esaminare con cura tutte le possibili cause di erosione e per ognuno di esse studiare una contromisura. Bisogna partire dal presupposto che i contribuenti ce la metteranno tutta per ingannare il fisco, per questo sarà bene, come si fa già nel settore sanitario, prevenire anziché curare.

One thought on “8 – LA POLITICA FISCALE

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