11 – MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

CAPITOLO XII

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

Il Ministro della Giustizia ha competenze in materia di organizzazione e funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, in Italia l’art. 107 della Costituzione gli assegna anche la facoltà di promuovere l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati. Nell’ambito del governo, il Ministro della Giustizia ha la funzione di guardasigilli, cioè di garante e responsabile delle leggi approvate dal Parlamento e della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Alla gestione del sistema giudiziario, il Ministero della Giustizia affianca competenze in numerosi settori, tra cui l’amministrazione penitenziaria e la cooperazione internazionale in materia civile e penale.

Il percorso di una causa penale o civile, nei paesi dove la giustizia non funziona bene come l’Italia, avviene secondo itinerari tortuosi, durante i quali cambiano interpreti e comparse e talvolta anche i protagonisti. È una corsa a tappe che può essere paragonata a una sorta di gioco dell’oca. Il traguardo è rappresentato dalla sentenza definitiva. Ma lungo il percorso i protagonisti possono incontrare delle caselle trappole, dove restano fermi anche per anni. Non di rado, con sensazionali colpi di scena, magari proprio in vista del traguardo, si ritorna al punto di partenza.

 

In un paese ben organizzato in tribunale si dovrebbero costituire due fronti contrapposti:

Da una parte la polizia, con investigatori, ispettori ecc., che hanno il compito di condurre le indagini, di raccogliere le prove o interrogare le persone sospette ecc.; rappresentati in tribunale dal Pubblico Ministero. Il loro compito è mantenere l’ordine pubblico e tutelare la società dai criminali.

Dalla parte opposta c’è l’imputato, con il suo avvocato difensore, che deve evitare che sia condannato un innocente e salvaguardare i diritti del suo assistito.

Al centro, ci deve essere un giudice “super partes” che ha il compito di giudicare se gli indizi portati dall’accusa sono sufficienti per intentare un processo o per togliere la libertà all’indagato. Deve essere, perciò, una figura diversa da colui che indaga.

Non è solo il nostro parere, la formula avversariale, come è chiamata dagli studiosi di scienza politica, diffusa nei sistema anglosassoni, in tutto il mondo sta sostituendo il sistema inquisitorio più comuni nei paesi neolatini. Anche l’Italia, ad esempio, il nuovo codice di procedura penale varato nel 1989, ha orientato il processo verso un rito avversariale aumentando il controllo della polizia da parte del Pubblico Ministero e abolendo la figura del giudice istruttore.

 

GLI OBIETTIVI

A detta della maggior parte degli esperti i principali obiettivi di un sistema giudiziario moderno ed efficiente sono cinque:

  1 – L’imparzialità dei giudizi. I fattori più importanti per garantire l’imparzialità sono:

  1. a) Professionalità dei magistrati. Sono importanti sia i sistemi di reclutamento, che quelli di professionalizzazione che il loro aggiornamento, per permettere loro di essere al passo coi tempi.
  2. b) Leggi chiare, scritte in modo semplice e non equivocabili, riunite in codici.
  3. d) Indipendenza dal potere politico, in modo da non restarne condizionati.
  4. e) Un sistema di controllo della qualità. Cioè ci deve essere qualcuno che valuta l’operato dei giudici. Nel caso si rendono colpevoli di gravi difformità devono incorrere in provvedimenti disciplinari, se poi non sanno fare bene il loro mestiere non devono fare carriera.
  5. f) Separazione di carriera tra giudici inquirenti e giudici giudicanti. In Italia il sistema attuale non prevede una netta distinzione tra giudici inquirenti, che sono quelli che conducono le indagini, e giudici “giudicanti”, che sono coloro che emettono le sentenze.

 

2 – Rapidità dei processi. I tempi della giustizia devono essere ragionevoli. Termine di paragone devono essere i tempi riscontrati nei paesi europei più avanzati o nordamericani.

 

3 – Economicità dei processi. La giustizia ha dei costi, che devono essere contenuti e proporzionali al contenzioso, invece in Italia sono molto più alti che nel resto d’Europa. Per questo motivo tutta la macchina della giustizia deve essere organizzata in modo da rispondere al principio economico del massimo risultato con i costi minimi.

 

4 – Limitazione del contenzioso. Devono esistere dei meccanismi che scoraggino i cittadini a ricorrere ai tribunali anche per motivi banali o che impediscano che tutte le querelle approdino in tribunale (e in cassazione). I paesi litigiosi, dalla “causa facile”, consumano una notevole parte delle loro risorse in avvocati e spese legali, impoverendo il paese. In questo modo non solo i cittadini sperperano parte del loro reddito, ma intasano i tribunali, complicando il loro funzionamento.

 

5 – Tutela delle libertà del cittadino. In uno stato moderno non si concepisce che un’innocente finisca in prigione, per questo il cittadino è tutelato da una serie di norme a garanzia delle sue libertà costituzionali. Ne riparleremo nel paragrafo successivo.

 

LA LIBERTÀ dei CITTADINI

Tutte le democrazie più avanzate hanno un serie di misure per evitare che onesti cittadini finiscano vittime di errori giudiziari e di abusi da parte della polizia, non di rado in cattiva fede. Vediamo quali sono questi i diritti:

 

  1. a) Il diritto d’udienza. Nel caso la polizia arresta un cittadino, questo ultimo deve essere sentito dalle autorità giudiziarie entro 48 ore. Lo scopo è quello di evitare che persone restino in carcere per giorni o settimane senza che abbiano esposto la propria versione dei fatti. Come pure, deve essere fatta immediata comunicazione alla famiglia che il loro familiare è detenuto e in quale prigione sta. Serve a tutelare il cittadino da possibili abusi della polizia o che diventi un capro espiatorio per colpe non commesse.

 

  1. b) Il diritto alla difesa. La difesa d’ufficio è un istituto giuridico, previsto da tutti gli ordinamenti, consiste nella nomina di un difensore ad opera dell’Autorità giudiziaria. L’attuale sistema vigente in Italia, a detta di molti, ma è anche il nostro parere, non garantisce sufficientemente l’imputato, in quanto, il giudice potrebbe nominare qualcuno che poi non prende a cuore la difesa del suo assistito e assolve il suo compito in modo molto superficiale. Nel passato non sono mancati casi di persone innocenti finite in prigione solo perché il loro difensore di ufficio non si era impegnato molto nella sua difesa.

Per questo il difensore d’ufficio dovrebbe essere scelto dall’imputato stesso, spulciando da un apposito elenco predisposto dall’Ordine degli avvocati. In pratica funziona così: tutti gli avvocati che ne hanno requisiti presentano una domanda al tribunale. Quest’ultimo compila un elenco che viene fornito alla persona arrestata in modo che, nel caso non ha i soldi per pagarsi un suo legale, ne scelga uno. Gli avvocati cercheranno di impegnarsi al massimo in modo da essere scelti in futuro anche da altri. In questo campo, infatti, il passaparola funziona meglio di qualsiasi pubblicità.

 

  1. e) La presunzione di innocenza. Nella maggior parte degli Stati avanzati esiste “la presunzione della non colpevolezza” il che significa: a) Deve essere compito della giustizia dimostrare la colpevolezza del cittadino e non quest’ultimo la sua innocenza b) Un cittadino non può essere condannato se esiste un “ragionevole dubbio” che sia innocente. In altre parole: meglio un colpevole fuori che un innocente in carcere. c) Una persona è ritenuta innocente finché non è condannata da un tribunale.

 

  1. c) L’arresto immediato deve essere regolato da precise norme. La legge italiana prevede l’arresto immediato in 3 casi ben definiti: 1) Se si hanno ragionevoli motivi per ritenere che possa fuggire all’estero. 2) Se si ritiene che possa inquinare le prove 3) Se si pensa che possa ripetere il reato. Ci sono molte persone che ritengono questo sistema troppo permissivo, in quanto dovrebbe essere previsto anche quando esistono gravi indizi di colpevolezza. Se le prove sono schiaccianti o addirittura esiste un video, perché mettere in libertà un criminale, dando l’impressione di uno Stato debole? Inoltre come si può escludere a priori che l’imputato commetta altri reati o fugga all’estero?

La corretta sequenza dovrebbe essere questa: appena un cittadino viene arrestato un poliziotto gli legge i suoi diritti. Una volta alla centrale di polizia gli devono essere letti i capi di imputazione ed interrogato alla presenza del suo avvocato. Il quale, però, non gli deve suggerire le risposte, ma avvertirlo solo di possibili trappole e dei suoi diritti. Se viene recluso, entro 48 ore (24 ore se si tratta di giorni feriali) deve essere sentito da un giudice e la sua famiglia ne deve essere avvertita immediatamente.

Deve essere messo subito in libertà, invece, nel caso l’impianto accusatorio è molto debole, ad es. si basa solo su intercettazioni telefoniche, testimonianze di persone inaffidabili e nessuna prova concreta.

 

  1. d) L’esistenza di più gradi di giudizio. È una precauzione che serve per ovviare ad eventuali errori giudiziari. Nel nostro paese esistono tre gradi di giudizio: il primo grado, l’appello e la cassazione. L’imputato è considerato colpevole solo dopo il giudizio di terzo grado.

Sono in molti, però, a ritenere che si tratti di una legge ipergarantista e che l’imputato debba essere ritenuto colpevole già dopo il secondo giudizio. A loro favore c’è il fatto che è così nella maggior parte dei paesi (in alcuni dei quali si è ritenuti colpevoli già dopo il primo giudizio).

 

In ultimo, in una vera democrazia devono esistere delle misure per proteggere il cittadino da possibili abusi di potere o violenze da parte delle forze di polizia. Sono importanti perché i casi di delinquenti pestati a morte non sono rari neanche nel nostro paese, come pure a volte si omette di soccorrere o di curare un cittadino che sta male o è rimasto ferito nella colluttazione con le forze dell’ordine.

Un’idea, ad esempio, potrebbe essere quella che al momento dell’arresto il cittadino può chiedere una visita medica, lo scopo è dimostrare che non ha lividi, segni di botte o malori. Se, poi, viene ricoverato in ospedale in seguito a traumi, le guardie carcerarie devono dimostrare come è successo.

In altri casi, la polizia arresta degli innocenti o mette dentro qualcuno soltanto perché cerca un capro espiatorio o perché la persona sospetta ha dei “nemici” tra poliziotti, che colgono l’occasione per vendicarsi. Per questo motivo deve essere sempre il magistrato a verificare se ci sono gli estremi per tenere una persona dietro le sbarre, e ciò deve avvenire entro 48 ore.

 

La “polizia interna”. In tutti i paesi avanzati, come gli Stati Uniti, esiste un corpo di polizia (spesso chiamato affari interni) che controlla l’operato dei poliziotti (ne abbiamo parlato nel capitolo precedente). La sua funzione non è solo quella di evitare abusi e violenze sui cittadini indifesi, ma anche quella di indagare su casi di poliziotti corrotti o inadempienti, cioè che fingono di “non vedere” o collusi con la mafia ecc.. In altre parole è necessario che ci sia sempre un qualcuno che controlli l’operato delle forze dell’ordine.

 

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IL PROCESSO PENALE

L’azione penale, in molti paesi come l’Italia, a differenza degli Stati Uniti, è obbligatoria, ciò significa che quando una Procura della Repubblica viene a conoscenza di un reato è obbligata a procedere. È un principio giusto, perché non si possono lasciare impuniti i criminali soltanto perché non c’è nessuno che li denuncia (si pensi, ad esempio, ai delitti di mafia). Non vale la pena di soffermarsi a discutere su questo punto in quanto si tratta di un principio accettato nella maggior parte dei paesi del mondo.

Nella pratica però, le cose stanno diversamente in quanto, dato che i magistrati devono affrontare una tale mole di procedimenti, spesso sono costretti a fare delle scelte. Può capitare che non approfondiscano indagini che potrebbero portare a risultati importanti contro gli evasori fiscali o contro affiliati alla malavita organizzata, mentre preferiscono procedere contro personaggi noti, come politici affermati o star del mondo dello spettacolo, soltanto per conquistarsi una certa notorietà sui mass media.

 

Le fasi del processo penale prevedono una prima parte di carattere investigativo, condotta dal Pubblico Ministero e dalla polizia, i cui risultati vengono sottoposti alla valutazione di un giudice che decide se archiviare il caso o se accettare la richiesta di rinvio a giudizio del presunto colpevole dando così avvio al vero e proprio processo.

 

L’atto formale che in Italia segna l’inizio dell’indagine preliminare è l’iscrizione della persona sospettata nel registro degli indagati. Una volta che il magistrato l’ha scritta in questo registro è tenuto a inviarle il cosiddetto avviso di garanzia, che viene consegnato dai carabinieri all’interessato. È chiamato così perché rappresenta una garanzia per il cittadino, che viene immediatamente e automaticamente informato del fatto che la magistratura sta indagando su di lui.

Nella pratica in Italia, però, l’avviso di garanzia ha assunto una valenza negativa, quasi fosse una sorta di condanna preventiva. È un problema che dovrebbe essere affrontato perché non è giusto rovinare la reputazione della gente, particolarmente se si tratta di persone famose o di politici in vista, se non ci sono indizi concreti contro di lui (uso politico della magistratura). Dovrebbe per lo meno essere tenuto segreto e ogni fuga di notizie sanzionata severamente.

All’avviso di garanzia segue a ruota la convocazione da parte del Sostituto Procuratore, che rappresenta la pubblica accusa. L’indagato si deve presentare accompagnato da un avvocato difensore. Se non ha le possibilità economiche per nominarne uno, gliene verrà assegnato uno di ufficio. Non andiamo oltre, per passare alle problematiche primarie di cui deve occuparsi la scienza del buon governo.

GLI ISTITUTI di RIDUZIONE della PENA

    Hanno lo scopo sia di aiutare a risolvere più agevolmente i casi, ad es. incoraggiando l’ammissione delle colpe, sia di ridurre l’intasamento dei tribunali. Nei penitenziari, poi, hanno lo scopo di rendere più accettabili le condizioni di vita. Se il detenuto, infatti, ha la possibilità di ridurre la pena per buona condotta manterrà un comportamento più civile. Vediamo quelli più comuni:

 

Il patteggiamento. È ritenuta da tutti un’istituzione giusta perché riduce l’intasamento dei tribunali, di fatti quasi nessuno ne chiede la totale abolizione, però sono in molti a chiedere una sua profonda revisione. La maggior parte degli esperti, ad esempio, sostiene che se le prove sono schiaccianti, non si deve concedere alcuna riduzione superiore al 10 – 20%. È lo stesso anche in altri paesi avanzati come gli Stati Uniti.

In secondo luogo, la normativa dovrebbe prevedere che se si va in appello, viene tutto azzerato, cioè si perde il diritto allo sconto di pena acquisito nel primo giudizio. Questo per scoraggiare l’imputato ad andare avanti fino alla cassazione, in tutti i casi.

 

Gli sconti di pena. Nessuno mette in dubbio che sono utili, ma anche qui bisogna stare attenti a non eccedere. In Italia, nel passato si è verificato che persone colpevoli di gravi delitti, come l’uccisione di un bambino, siano tornate in libertà dopo 12 anni di pena o abbiano goduto di permessi premi dopo appena 7 anni di detenzione. Soprattutto devono essere concessi se la persona si comporta bene e da chiari segni di ravvedimento.

 

I permessi premi. Anche qui bisogna stare attenti a non diventare troppo generosi. È altamente diseducativo vedere un assassinio che esca di prigione, sia pure per pochi giorni, dopo neanche 10 anni dalla condanna. Non si contano, poi, i detenuti che sono andati a fare rapine o hanno continuato a spacciare durante i permessi premio. Bisogna prevedere severi limiti in modo che non se ne faccia abuso, ad es. non dovrebbero essere concessi prima che il detenuto abbia scontato almeno due terzi della pena, concederli solo per particolari occasioni, come per partecipare al funerale di un familiare stretto ecc.. È riconosciuta la loro utilità negli ultimi anni di carcere, in modo da abituare a poco a poco il detenuto alla libertà.

 

Gli sconti di pena durante la detenzione per buona condotta. Hanno lo scopo, come abbiamo detto, di rendere più vivibili le condizioni di vita nel carcere. Se il detenuto sa che può uscire qualche anno prima, terrà un comportamento più civile cercando di tenere sotto controllo i suoi istinti peggiori. Difatti nessuno ne chiede la sua totale abolizione, però sono in molti a sostenere che la riduzione della pena non dovrebbe essere maggiore del 20% e non essere concessa in tutti i casi e a tutti. Certi criminali, come incalliti killer della mafia, è meglio che restino in prigione.

 

La scarcerazione per motivi di salute. Anche qui bisogna evitare abusi. Si è visto pericolosi criminali uscire di prigione solo perché diventati magrissimi, in seguito a un periodo di rifiuto del cibo, o perché fingevano di essere depressi. In questi casi bisogna valutare soprattutto la pericolosità del soggetto e le sue effettive condizioni di salute. Ad esempio, se si tratta di un affiliato della mafia affetto di AIDS, ma ancora autosufficiente, meglio tenerlo dentro perché può nuocere alla società. Al contrario, non bisogna avere dubbi se si tratta di un detenuto malato terminale di cancro. Nel secondo caso, bisogna valutare effettivamente le condizioni di salute del detenuto se sono debilitanti o possono essere facilmente essere simulate. Ad esempio bisogna usare molta cautela con detenuti affetti da depressione, in quanto una persona molto abile può fingersi tale anche per mesi.

 

L’ammissione di colpa. Un’altra misura suggerita dagli esperti è premiare chi ammette le sue colpe e mostra segni di pentimento. Questa misura aiuterebbe non solo a individuare i colpevoli con maggiore precisione, ma semplificherebbe notevolmente il lavoro dei giudici. Nel nostro paese, invece ai criminali conviene sempre negare, perché se si è fortunati, si può addirittura farla franca. Questo modo di fare non solo allunga notevolmente i processi, ma fa finire tutte le cause in cassazione. In molti paesi, tra cui la Cina, si punisce severamente chi si ostina a proclamarsi innocente nonostante prove evidenti. La mancanza di pentimento e la pretesa di innocenza è, perciò, considerata addirittura un’aggravante. È un esempio da seguire.

Al contrario, devono essere concesse notevoli agevolazioni, come sconti di pena e un miglior regime carcerario, a tutti coloro che collaborano con la giustizia, ammettono le loro colpe e chiedono pubblicamente perdono dei propri crimini.

 

    Il controllo di qualità. Come abbiamo accennato, deve esistere una commissione che a fine anno valuta l’operato dei giudici ed emetta un giudizio. In altre parole vede quanti processi ha portato a sentenza e con quali risultati. Giudizio che deve essere importante per la carriera, in modo che siano premiati coloro che hanno fatto bene il loro lavoro. Le promozioni, perciò, non devono avvenire in modo automatico, per anzianità, o peggio per motivi politici, ma in base ai meriti. In questo modo tutti i giudici saranno motivati ad essere imparziali e a mettere sotto inchiesta le persone solo quando ci sono fondati motivi per farlo.

 

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IL PROCESSO CIVILE

Nel processo civile, col termine ”attore” si indica chi si rivolge al giudice perché venga riconosciuta una sua pretesa; “convenuto” è invece chi contesta la pretesa dell’attore. Il giudice ha il compito di esaminare la pretesa dell’attore, ad esempio il risarcimento di un danno, accogliendola o rigettandola. Il processo si svolge dunque alla stregua di un dialogo nel quale l’attore domanda al giudice se abbia diritto al risarcimento da parte del convenuto, il quale a propria volta contesta la domanda dell’attore.

Nell’ambito del processo civile vigono tre regole principali:

1) L’iniziativa processuale spetta alle parti; 2) Il giudice in certi paesi non può mai fare indagini di propria iniziativa, ma deve valutare le versioni dei fatti raccontate dalle parti e decidere sulle loro richieste in base alle prove fornite dalle parti stesse. Per fortuna questa regola è stata cambiata in Italia un po’ di tempo fa, in quanto molto discutibile. A volte, infatti, si può verificare la veridicità dei fatti solo con ricerche autonome da parte delle autorità giudiziarie. 3) Il giudice non può decidere una controversia se non è stato garantito il rispetto del principio del contraddittorio, cioè se il convenuto non è stato messo in condizione di prendere parte al processo.

 

Le fasi del processo civile. Si distinguono tre fasi nel processo civile: una fase introduttiva, nella quale il processo s’avvia per impulso della domanda dell’attore; una fase istruttoria, durante la quale il giudice raccoglie le informazioni necessarie per prendere una decisione; infine una fase decisoria, durante la quale i difensori delle parti espongono le ragioni dei propri clienti davanti al giudice, il quale, al termine, decide emettendo una sentenza. La sentenza, che deve contenere la motivazione (cioè l’elenco dei motivi che giustificano la decisione finale), è poi resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata.

Le vertenze civili iniziano quando l’atto di citazione viene notificato alla parte avversa e la causa iscritta a ruolo, cioè finisce nell’elenco dei contenziosi pendenti, che in Italia nel 2008 erano più di 3 milioni (un numero esagerato, dato che, come diremo più avanti, non esistono filtri). Poi il Presidente del Tribunale assegna il processo a una sezione, il cui presidente nomina un giudice istruttore. È un giudice istruttore monocratico nel senso che decide da solo. La prima cosa che fa quest’ultimo è quella di convocare le due parti per tentare un accordo. Se non ci riesce incomincia l’istruttoria.

Nel giudizio di primo grado il magistrato ascolta le parti in causa, gli eventuali testimoni, i periti e raccoglie tutti gli elementi che gli avvocati dei litiganti ritengono utili per far valere le ragioni dei loro clienti. L’istruttoria che può durare molti anni, termina con la precisazione delle conclusioni, cioè le due parti riassumono le loro ragioni per iscritto. Entro 10 giorni dalla precisazione delle conclusioni il giudice, che ha condotta l’istruttoria, emette sentenza, che diventa esecutiva quando viene pubblicata.

 

L’appello. Tutte le sentenze possono essere discusse nuovamente davanti a un giudice diverso, se la parte, le cui richieste non sono state accolte, decide di impugnare la sentenza (in questo caso si dice che la parte “ricorre in appello contro la sentenza di primo grado”); il processo viene così riaperto e la sentenza sfavorevole può essere cancellata. Esistono, perciò, come per il processo penale, tre gradi di giudizio, fino alla Corte di Cassazione.

Non andiamo oltre per passare ad esaminare le problematiche primarie.

 

PROCESSI TROPPO LUNGHI

Il problema principale della giustizia in molti paesi, tra cui l’Italia, sono i tempi dei processi, incerti ed estremamente lunghi. Una causa può durare anche 15 o 20 anni (in casi estremi si è arrivati a 30 anni). Non è raro che la causa incominciata da una persona debba può essere proseguita dai suoi eredi e ciò costituisce un grave danno sia per la reputazione del sistema giudiziario, sia per l’enorme spreco di risorse economiche.

Le lungaggini dei processi, inoltre, costituiscono un incoraggiamento per truffatori e disonesti, che contano su questa impunità e, perciò, continuano indisturbati nelle loro attività illecite. Sanno che il truffato o la vittima, nel migliore dei casi, dovrà aspettare molti anni e che in questo tempo può succedere di tutto (nel peggiore dei casi c’è tutto il tempo per disfarsi di tutti i propri beni immobili). Molte persone, infatti, rinunciano a chiedere giustizia.

 

L’inefficienza della giustizia purtroppo ha, infatti, gravi ripercussioni sull’economia della nazione e sulla competitività del sistema. Pensate a tutti gli industriali che hanno venduto merci ai commercianti, ma non sono stati pagati, a tutte le opere pubbliche bloccate per qualche motivo legale ecc.; si può verificare persino un blocco degli investimenti esteri, perché nessuno investe in un paese dove la giustizia non funziona. La ex-presidente della Confindustria Marcegaglia ha dichiarato a un giornale qualche tempo fa: “La giustizia lenta facilita la vita dei furbi, aumentando le cause temerarie e il contenzioso strumentale.”

 

Inoltre, da alcuni anni è possibile rivolgersi alla Corte Europea e spesso lo Stato italiano è stato chiamato a risarcire profumatamente persone che non sono riuscite ad avere una sentenza nemmeno in 20 anni. Molte persone, addirittura, cercano di sfruttare la situazione. Quando vedono che le cose vanno per le lunghe, fanno di tutto per allungare i tempi ed ottenere un risarcimento milionario. L’Europa, infatti, continua a condannarci per la nostra incapacità di assicurare una ragionevole durata dei processi. Nel 2010 La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sentenza del 21.12.10 (sentenza Gaglione e altri), ha accolto 480 ricorsi condannando il Governo italiano a risarcire i ricorrenti del danno patrimoniale e non patrimoniale subito per il tardivo pagamento delle sentenze di condanna per la durata eccessiva dei processi.

 

La soluzione. Si tratta chiaramente di una problematica dipendente dalle cause. In effetti la soluzione, almeno teoricamente, è piuttosto semplice: bisogna individuare una ad una le cause della lentezza dei processi e per ognuna di esse studiare un modo per superarle. Il problema è risolvibile non solo con una miglior organizzazione della macchina della giustizia, infatti, ma aumentando la produttività del personale e soprattutto rimuovendo tutti i motivi che ritardano o intralciano lo svolgimento regolare dei processi. Le cause più comuni in Italia sono:

Aule non disponibili. Le cause non possono essere fatte se mancano le aule, cioè se sono occupati tutti gli spazi fisici dove svolgere processo. La soluzione è costruire nuovi palazzi di giustizia, e un po’ in tutta Italia ci sono in costruzione edifici destinati a questo scopo. Purtroppo i tempi sono lunghi e non di rado finiscono i soldi prima di completarli, quando i lavori non vengono bloccati dalla magistratura stessa. Altre soluzioni sono tenere aperti i tribunali più a lungo, anche di pomeriggio o di sabato (e chiusi in estate soltanto due settimane).

Continui rinvii. È uno dei principali motivi per cui in Italia i processi durano così a lungo. A volte si sente nei corridori nei tribunali qualche avvocato che dice a un suo collega: “Questa mattina su 5 cause, 4 sono state rinviate”. Da una ricerca del 30/4/2009 del settimanale Panorama risulta che nel 69,7% dei casi l’esito è rinvio ad altra udienza, nel 28,6% la sentenza, nell’1,7% la restituzione degli atti al pubblico ministero (quasi sempre per un errore formale commesso dallo stesso pubblico ministero). Occorre analizzare tutti i motivi per cui si rinvia con estrema facilità e cercare un rimedio per ognuna di queste cause. Gli avvocati, ad es., dovrebbero poter richiedere il rinvio della causa soltanto per gravissimi motivi, che devono giustificare, altrimenti devono incorrere in sanzioni. “Capita spesso che un’udienza venga rinviata senza preavviso, semplicemente attaccando un biglietto scritto a mano sulla porta dell’aula il mattino dell’udienza” (La Repubblica 6/12/2006). Oggi per saltare un’udienza basta che uno dei legali non si presenti e la causa è rinviata di mesi, se non anni. Vengono presi dei provvedimenti solo se l’avvocato non si presenta per più di 2 volte di seguito. Nel penale, invece, spesso i comportamenti dilatori mirano a far scadere i termini.

 

Distribuzione del personale. A volte alcuni uffici sono a pieno organico e non di rado hanno poco lavoro (questi sono quasi tutti al nord Italia e nei piccoli centri. In Piemonte ci sono 17 tribunali, un numero esagerato), altri sono sotto organico e accumulano migliaia di pratiche arretrate. Questo squilibrio è un’eredità del passato quando i trasferimenti venivano dati soltanto per fare dei favori a qualcuno, sguarnendo alcuni uffici e sovraffollando altri. È chiaro che non si può, da un giorno all’altro, spostare personale da una città all’altra, perché significa creare gravi disagi per centinaia di famiglie, però, a poco alla volta, si può riequilibrare la situazione. All’inizio, ad esempio, si può ricorrere ai comandi annuali. Se si fa a turno, si riuscirà a tamponare l’emergenza per due o tre anni, giusto il tempo per indire nuovi concorsi e assumere nuovo personale.

 

Vuoti negli organici. Un altro dei problemi è l’incompletezza degli organici. Il personale spesso manca semplicemente perché non sono stati indetti nuovi concorsi per via del blocco delle assunzioni determinato da una delle leggi finanziarie. Ad esempio, una commissione del CSM in missione a Napoli (“la Repubblica” del 28/12/2006) per prendere contatto con la realtà giudiziaria della città, ha lamentato sia risorse insufficienti a garantire la protezione di tutti PM esposti nella lotta ai clan, sia che risultavano ancora scoperti 29 posti di tribunale. Avevano bisogno di “rinforzi”, l’ufficio GIP e il tribunale del Riesame (in totale 34 toghe mancanti), per non parlare del personale amministrativo che presentava vuoti ancora più gravi. Le varie finanziarie che si sono succedute, non hanno saputo distinguere da ciò che era uno spreco, da ciò che era strettamente necessario, e così sono molti i tribunali che mancano di magistrati, ma soprattutto di personale amministrativo, in particolare di cancellieri.

A questi vuoti si aggiungono quelli creati dai magistrati che sono “in giro” per incarichi vari o per mandati, non di rado un mezzo come un altro per imboscarsi. I mandati dovrebbero essere aboliti del tutto, chi fa il giudice deve fare solo questo, non può essere spostato ad altri uffici.

 

Bassa produttività. È un problema comune a tutto il settore statale. In tutti i Ministeri, negli uffici, nelle varie direzioni, negli ospedali ecc., la produttività è bassa e spesso si incontra gente che non ha molta voglia di lavorare e funge da cattivo esempio per gli altri. Gente che si considera a mezzo servizio, perché, se mai, ritiene di guadagnare poco. Occorre predisporre dei parametri per misurare la produttività e concedere premi di produzione in base ad essi.

 

Pluralità di riti processuali. Un altro dei motivi della lentezza dei processi è la frammentazione dei riti che rappresenta un problema anche per gli avvocati. Sono previsti riti ordinario, rito societario, rito fallimentare, rito industriale e procedimenti esecutivi. Con diversi termini di scadenza e di prescrizione (“Il Sole 24 ore” 7/11/2005). È chiaro che bisogna uniformare quanto più possibile questi riti e semplificare al massimo le procedure.

 

Formato cartaceo. Dopo tanti anni che se ne parla finalmente nel 2009 si è incominciato anche in Italia a fare qualcosa, cioè a passare i fascicoli su DVD o su pen drive. Non solo si guadagna moltissimo spazio in quanto non si sa più dove metterli, ma è facile la loro consultazione e la loro archiviazione. Si potrebbe anche fare le notifiche tramite internet, con posta certificata, anziché tramite lettera, in questo modo si risparmia soldi e la procedura è molto più veloce. Le sentenze, poi, potrebbero essere scritte su una pen drive usb anziché in formato cartaceo, si risparmierebbe tonnellate di carta, prodotta con gli alberi.

 

Scomparsa di fascicoli. In tribunali come quelli di Napoli sono una delle cause principali di perdita di tempo, tanto che è ritenuto normale non ritrovarne più qualcuno (non di rado sono gli avvocati stessi a farli sparire per allungare i tempi del processo). Il risultato è che ci vogliono mesi per la loro ricostruzione. Una misura semplice sarebbe quella di mettere delle telecamere nascoste all’interno degli archivi e sanzionare severamente chi viene sorpreso a farli sparire. Un’altra sarebbe di affidare a una società esterna la gestione di questi fascicoli, ogni avvocato che vuole visionarli deve pagare una piccola quota e firmare una ricevuta.

 

Sovraccarico di lavoro. Uno dei motivi principali per cui i magistrati lavorano male è perché sono oberati di lavoro, devono fare tantissime cose e spesso sono stressati. Tutto è organizzato male e ogni giorno devono perdere tempo per formalità, invece di dedicarsi a cose più serie. Non di rado non hanno neanche il tempo per approfondire bene i casi e leggere i fascicoli. Occorre riorganizzare tutto il lavoro per aumentare la produttività, ma nello stesso tempo ridurre il carico di lavoro.

 

Scioperi improvvisi. Gli scioperi più frequenti sono quelli degli avvocati, spesso sconvolgono il calendario dei tribunali in quanto le cause, senza nessuna eccezione, vengono tutte rinviate e questo senza che nessuno abbia alcuna trattenuta sulla busta paga. È lo sciopero perfetto, se ne stanno tutti a casa, senza che nessuno ci perde un solo euro.

Nel passato è capitato persino che lo sciopero è stato proclamato soltanto per fare qualche giorno di festa o per ottenere il rinvio di una causa importante, che interessava a uno dei sindacalisti di una delle tante sigle sindacali. Si devono studiare delle misure per scoraggiare questi scioperi, ma soprattutto, non è accettabile che lo sciopero di pochi, arresti tutta l’attività giudiziaria. I processi di coloro che non scioperano devono essere tenuti lo stesso. Ogni legale deve notificare con 48 ore di anticipo, se intende scioperare o no. Nel caso non aderisce, deve essere tenuta regolare udienza.

 

    Burocrazia macchinosa. Nei paesi in cui non funziona la giustizia come l’Italia, di solito, esistono trafile burocratiche e procedure che farebbero passare la pazienza anche a un certosino. Un buon sistema per accelerare tutto il lavoro dei tribunali, perciò, è quello di snellire le procedure. Ad esempio, eliminando tanti tipi di bolli e timbri, semplificando i passaggi, rendendo nulle certe formalità e così via.

Occorre studiare con calma tutto ciò che può essere è inutile e superfluo. Altro tempo si potrebbe recuperare semplificando la scrittura delle sentenze. Spesso queste ultime sono dei veri e propri capolavori di letteratura forense. Una cosa lodevole, che però porta via tantissimo tempo in quanto i giudici ci mettono giorni e giorni per scriverle. Sarebbe, invece, meglio creare delle formule prestampate su modelli informatici, ad esempio “L’imputato è stato assolto per i seguenti motivi”: segue l’elenco. “Per quanto riguarda le prove riportate dall’accusa: la prima prova, quella delle impronte digitali sul bicchiere non è stata ritenuta valida per i seguenti motivi … “ e così via. In questo modo si accelererebbe molto il lavoro e il giudice sarebbero disponibili presto per un altro processo.

 

Scarsa attenzione alla meritocrazia. Non di rado nei posti direttivi si trovano persone inette che hanno il solo merito di essere stati appoggiati da certi politici o di essere stati al posto giusto al momento giusto. Se a ciò si aggiunge che la maggior parte delle volte si tratta di persone inamovibili, si ottiene che non sempre chi dirige i vari servizi del tribunale è in grado di svolgere adeguatamente il suo lavoro. Bisogna, invece, aver il coraggio di rimuovere i dirigenti incapaci o che hanno dimostrato poca voglia di lavorare. L’idea migliore è quella di rinnovare le cariche direttive ogni 5 anni, in modo da non confermare chi non ha rispettato certi parametri di produttività.

 

La giungla di norme. Una delle cause della lentezza dei processi è la giungla di leggi, di norme, disposizioni e decreti, che oltretutto cambiano continuamente (in Italia ce ne sono più di 150.000). È uno dei punti importanti messo in evidenza anche dal ex-presidente della confindustria Marcegaglia. Ci troppo uffici giudiziari, troppe norme non di rado in contrasto tra di loro e spesso le leggi sono poco chiare o suscettibili di più interpretazioni. Occorrerebbero una legislazione più semplice e più chiara, raccolta in testi unici, con la cancellazione di tutte le norme ormai sono superate.

È ovvio che se una legge si può interpretare in vari modi, poi i magistrati perderanno molto tempo quando sono chiamati ad applicarla, inoltre sarà un facile motivo per fare ricorso e andare prima in corte d’appello, poi in cassazione. In ultimo, quando viene approvata una nuova legge e pubblicata sulla gazzetta ufficiale, si deve specificare chiaramente tutte le norme che abolisce, in modo che queste siano poi cancellate dai codici.

 

LE PROPOSTE

Le strategie che si sono dimostrate più efficaci nel passato, oltre a una remunerazione adeguata del personale, per rendere la macchina della giustizia più rapida ed efficiente sono:

Premi di produzione. Se un ufficio, ad esempio, non ha lavoro arretrato e svolge adeguatamente i suoi compiti, tutti coloro che vi lavorano devono ricevere un premio di produzione annuale. Un’altra idea potrebbe essere quella di organizzare delle premiazioni a fine anno, in cui dare dei riconoscimenti alle persone che si sono distinte per il loro attaccamento e per la loro competenza. Può sembrare sciocco, ma a volte motiva più una medaglia, una citazione su un albo d’onore, che la minaccia di gravi punizioni.

 

Più potere ai capi servizi in modo che possano fare maggiore pressione sugli impiegati indolenti. Se non riescono a ottenere risultati con semplici richiami, possono chiedere che sia trasferito verso altri uffici. Se un dipendente, poi, viene mandato via da vari uffici, significa che non ha voglia di lavorare e perciò deve rischiare il “declassamento” o il licenziamento.

 

Combattere l’assenteismo. Molti impiegati statali non solo non hanno voglia di lavorare, ma si assentano con facilità. Basta un raffreddore, un mal di testa o semplicemente quel giorno non hanno voglia di andare in ufficio e, allora, telefonano e si mettono in congedo. Non andiamo oltre perché abbiamo trattato il problema dell’assenteismo nel capitolo: Ministero del Lavoro.

 

Migliorare l’organizzazione dei tribunali. In Italia è tutto il sistema che andrebbe ridisegnato per migliorarlo. Bisogna copiare i sistemi di organizzazione del lavoro nel settore industriale, in modo recuperare efficienza e produttività. Ad esempio, per velocizzare i tempi occorre concentrare le prove portate dall’accusa in una sola mattinata. Si è visto che migliorando l’organizzazione degli uffici, distribuendo meglio il personale e semplificando le procedure, si può aumentare molto la produttività e quindi, il numero dei processi portati a sentenza. Nel varare queste riforme bisognerebbe avvalersi della competenza di affermati manager provenienti dall’industria, in modo da trasferire anche qui gli stessi metodi la stessa organizzazione (e industrializzare la macchina della giustizia). Invece, spesso le riforme sono tracciate da personale amministrativo, con una mentalità burocratica, abituato a fare le cose sempre nello stesso modo da 30 anni.

 

Cellule autonome. Un’altra idea è quella di organizzare il tutto in modo che ogni giudice abbia la sua “squadra”, cioè impiegati e addetti che collaborano con lui nel cammino processuale. Così, se per qualche motivo, si blocca il lavoro di una cellula, le altre vanno avanti lo stesso.

 

LA PROFESSIONALITÀ DEI GIUDICI

È un altro punto fondamentale se si vuole rendere più efficiente la macchina della giustizia. Bisogna migliorare sia la professionalità dei magistrati, con sistemi di reclutamento adeguati, sia l’aggiornamento, che rivedere le carriere e studiare tutti i sistemi per aumentare la produttività. Vediamo questi punti nei dettagli.

 

Il reclutamento. Deve avvenire per concorso, fissando severi requisiti e scoraggiando le pratiche clientelari. Inoltre, nei concorsi bisogna prevedere prove obiettive, facilmente valutabili con criteri standard (niente temi su argomenti giuridici che possono essere valutati diversamente a seconda dell’esaminatore), ma questionari su materie precise, test psicologici, esposizioni di casi pratici e così via. Inoltre almeno il 30% dei posti deve essere coperto con concorsi riservati a giovani avvocati con 10 anni di pratica forense alle spalle, ne abbiamo parlato a proposito del Consiglio Superiore della Magistratura (nel capitolo “Democrazia e sistemi elettorali”).

 

L’avanzamento di carriera. Deve avvenire su base meritocratica e non soltanto in rapporto all’anzianità, ma soprattutto bisogna limitare al massimo l’influenza dei politici nelle nomine, altrimenti i posti dirigenziali saranno coperti da persone inette, con l’unico merito di essere amici del Ministro o del sottosegretario di turno.

 

    Il controllo della qualità. Ogni anno il presidente del tribunale e una commissione devono esprimere un giudizio sull’operato dei giudici. Nei casi estremi, cioè se ritengono estremamente negativo il lavoro di un giudice possono chiedere il suo trasferimento in altri tribunali. Nei casi di comportamenti illegali, invece, ci deve pensare il Consiglio Superiore della Magistratura.

 

Specializzazione dei giudici. È una strategia diventata inevitabile dato che, per questa professione, si richiedono sempre maggiori competenze. Se stanno scomparendo i medici generici e la medicina di base sta diventando soltanto un centro di smistamento verso i vari specialisti, perché non si deve fare la stessa cosa in campo giudiziario? Non più, quindi, giudici che si interessano di tutto: cause civili, incidenti automobilisti, vertenze condominiali e così via, ma persone specializzate in un settore. È vero, oggi, c’è già chi si interessa solo di cause di lavoro, di delinquenza minorile ecc. ma occorrerebbe fare di più. Ci deve essere chi si occupa solo di vertenze condominiali, chi di incidenti stradali, chi di furti o di diritto di famiglia.

 

Separazione delle carriere. È uno dei nodi dolenti del sistema giudiziario italiano, su cui spesso si torna discutere. Per non limitarci al caso italiano, diciamo che non solo ci deve essere una netta distinzione tra giudici inquirenti, che sono quelli che conducono le indagini, e giudici “requirenti”, che sono coloro che emettono le sentenze, ma che i primi dovrebbero dipendere dal Ministero dell’Interno e non dovrebbero neanche chiamarsi giudici, i secondi dal Ministero della Giustizia. Non andiamo oltre perché ne abbiamo parlato nelle pagine precedenti.

 

RIDURRE IL CONTENZIOSO

Un problema comune a molti paesi come l’Italia è che si fanno troppe cause civili (a volte anche penali), spesso inutili. I giornalisti spesso scrivono che siamo un popolo litigioso, ma è solo in parte colpa del carattere della gente. In verità, molto dipende dal sistema giudiziario organizzato male, da leggi spesso poco chiare o addirittura in contrasto tra di loro, dalla poco deontologia professionale degli avvocati che fanno credere ai loro clienti di poter vincere una causa anche quando hanno torto marcio, dall’abbondanza di “furbi” che approfittano della lentezza della giustizia ecc.. I motivi possono essere tanti. Bisogna analizzare ognuno di questi motivi e per ognuno predisporre una strategia di superamento.

 

Le strategie, comunque, che nel passato più si sono dimostrate efficaci sono:

Il filtro. Una strategia usata con successo all’estero è mettere un filtro in modo che non arrivino in tribunale le cause infondate, che non hanno alcuna consistenza. Secondo una giornalista di Rai 3 (trasmissione Report) quasi il 50% dei processi potrebbe essere eliminato perché pretestuoso, solo se i giudici si leggessero i fascicoli e invitassero una delle parti a ritirarsi. Invece, una volta che la causa è iscritta al ruolo, va avanti anche se è inconsistente. Al contrario in Francia si fa una prima cernita per distinguere da ciò che fondato, da ciò che non lo è.

 

La conciliazione. Un’altra strategia efficace è quella di dare la priorità ai tentativi di conciliazione, cercando sempre di convincere le parti a fare una transazione. In altre parole il giudice deve cercare di scoraggiare le due parti ad andare avanti cercando un compromesso. Questo metodo, però, funziona soltanto se si prevedono sanzioni per chi rifiuta l’accordo o incentivi per chi accetta. Ad esempio, nel caso di mancato accordo e la sentenza del giudice dovesse corrispondere alla proposta del mediatore, le spese processuali vanno raddoppiate.

 

Le spese legali. In alcuni ordinamenti una volta che si è vinto una causa bisogna intentare una nuova azione legale per recuperare le spese processuali. Si potrebbe semplificare questa procedura, condannando automaticamente chi perde, anche al pagamento di tutte le spese. È una misura che scoraggia il ricorso in tribunale, perché un’azione legale senza alcun fondamento può costare molto cara a chi la fa. Addirittura, nei casi in cui il cliente ha chiaramente torto, ma persegue nel ricorrere al tribunale, si potrebbe prevedere un raddoppio delle spese o una multa.

 

Procedura semplificata per i casi chiari. Nei casi più semplici, ad es. quando una delle due parti ha chiaramente torto, ad es. l’inquilino che non ha pagato l’affitto di casa, bisogna prevedere una procedura rapida, che non consenta rinvii o ricorsi in appello. Se una ditta, ad esempio, ha venduto a una cooperativa di pescatori uno scanner, ma questo ha funzionato solo pochi giorni, perché gli acquirenti devono fare una lunga trafila per ottenere giustizia?

In questi casi bisogna introdurre dei riti abbreviati e dure sanzioni per chi non rispetta le norme di un contratto sottoscritto. Solo così non ci sarà nessuno più che ci proverà e si ridurrà in pochi anni il numero delle cause. In effetti, una giustizia efficiente ha anche l’effetto di ridurre il contenzioso. Al contrario, una giustizia lenta, macchinosa ha anche il grave difetto di aumentare il numero delle vertenze legali in quanto chi truffa, imbroglia o non paga, conta proprio sul fatto che i tempi della giustizia sono lunghi.

 

Convocare l’utente. Per contrastare la scarsa deontologia professionale di alcuni avvocati, i quali vogliono sempre fare causa (per guadagnare), si potrebbe dare al giudice la facoltà di convocare direttamente l’utente, nel caso questo ha chiaramente torto, per scoraggiarlo ad andare avanti nell’azione legale. Il magistrato gli può chiedere di consultare un altro avvocato di sua fiducia, perché da come stanno le cose facilmente perderà la causa e perciò sarà condannato a pagare tutte le spese processuali, più una penale. Non può, però, fare pressione su di lui per un accordo o spingerlo ad esonerare il suo legale. Gli può dare solo il consiglio di sentire anche il parere di altri legali.

 

Trasferire altrove il contenzioso non prettamente “pertinente”. Un altro modo per liberare i tribunali dall’enorme mole di lavoro da cui sono schiacciati è trasferire altrove alcuni tipi di querelle come:

 

Le cause sportive. Se uno degli atleti è stato trovato positivo al controllo antidoping, se un certo giocatore non ha rispettato un contratto o se una squadra non ha pagato l’iscrizione al campionato, se ne occupi la giustizia sportiva! I tribunali ordinari dovrebbero interessarsi di questioni sportive solo quando si verificano dei reati penali, ad esempio un calciatore che aggredisce un fotografo o un tifoso ferisce uno dell’opposta tifoseria.

 

Le pensioni di invalidità. Oggi se una persona chiede che le sia riconosciuta l’invalidità al lavoro, ma la sua domanda viene respinta, può far causa all’Inps. Dato che in Italia esiste una norma così generosa che lo Stato paga tutte le spese legali, anche se il richiedente perde la causa, questo tipo di vertenza è piuttosto frequente. Di queste cose, invece, dovrebbe occuparsi l’Inps, con delle giurie interne, prevedendo vari gradi di giudizio, in modo che i giudici ordinari possono occuparsi di questioni ben più serie e gravi.

 

Le cause di divorzio. “Bisognerebbe dare ai coniugi la possibilità di stabilire dei patti prematrimoniali riconosciuti dalla legge (come accade in America), dove c’è scritto quali sono le condizioni che si applicano in caso di divorzio. Questo ridurrebbe almeno della metà il numero delle cause pendenti ogni anno” G. Gullace Raugei (2010, rivista “Oggi). Noi ci spingiamo più in là, occorre rendere obbligatorio queste disposizioni al momento del matrimonio, in modo che in caso di separazione è già tutto prestabilito. Ciò avrebbe il duplice effetto di ridurre almeno a metà le spese di divorzio e non si intasa i tribunali.

Un’altra soluzione è predisporre dei tribunali “minori” per due tipi molto frequenti di processi che spesso intasano i tribunali:

 

Le vertenze condominiali. Le liti condominiali in Italia sono davvero un numero sproporzionato rispetto ad altri paesi europei (nel 2006 sono state più di 1.000.000). Se si liberasse i tribunali di queste vertenze, anzi si costituisse una sezione specifica, le cose andrebbero senz’altro meglio.

Le misure per ridurre questo tipo di contenzioso sono note: una normativa più chiara e inequivocabile, istituire un albo degli amministratori di condominio che dovrebbero dimostrare con un esame di conoscere bene le norme condominiali (in modo da essere più professionali e risolvere essi stessi le liti più banali. In caso che abusino del loro potere devono essere radiati dall’albo degli amministratori), istituire dei giudici conciliatori che, dopo aver spiegato cosa dice la legge, cercherebbero di arrivare a un accordo. In ultimo, sanzioni pecuniarie pesanti per chi ha chiaramente torto, ma persevera nell’azione legale per motivi futili.

 

    Le cause di sfratto. È un altro tipo di causa piuttosto frequente in paesi come l’Italia, dove i processi per liberare una casa in affitto possono durare anche 10 anni, mentre altrove sono molto più rapidi. In molte parti del mondo, come in alcuni stati americani, alla scadenza del contratto basta dare all’inquilino un preavviso di 15 giorni. Se non se ne va, ci pensa la polizia a portare le sue cose in un deposito.

 

Regolare i flussi di immigrazione. Se si tiene presente che in Italia più di un terzo dei reati è commesso da immigrati extracomunitari (in alcune regioni arrivano quasi al 50%), ci si può rendere conto di quanto hanno aggravato i già pesanti problemi di giustizia.

Senza dilungarci troppo, diciamo che i sistemi per tenere sotto controllo la criminalità per quanto riguarda gli immigrati sono soprattutto tre: 1) Controllare che gli stranieri facciano davvero il lavoro dichiarato, lo scopo è quello di individuare tutti coloro che vivono di traffici illeciti, ma figurano come badanti, braccianti agricoli ecc. 2) L’espulsione di qualsiasi immigrato extracomunitario si renda colpevole di reati anche non gravi. 3) Chiudere le frontiere quando la disoccupazione supera certi livelli. Se, ad esempio, sul territorio c’è già più di 1 milione di stranieri che non riesce a trovare lavoro, è sciocco far entrare altra gente.

 

IL RICORSO IN CASSAZIONE

Un’altra questione da studiare è l’introduzione di misure per scoraggiare il ricorso in cassazione in modo che, succeda solo in casi eccezionali. In Francia e in molti altri paesi europei meno del 30% dei processi arriva in cassazione, in Italia quasi il 90%. È un’anomalia che va corretta. In particolare bisogna evitare assolutamente che si vada in cassazione soltanto per ritardare il più possibile la sentenza definitiva, e quindi il carcere, o per tirare alla lunga, sperando in un colpo di fortuna (come l’indulto) o che decorrano i termini di prescrizione.

Noi riteniamo che sarebbe opportuno ritenere l’imputato colpevole già dal secondo grado. Se una persona è stata condannata da un tribunale e la sentenza confermata dalla corte di appello, è sciocco continuare a presumere che sia innocente.

Una strategia è quella di porre dei filtri. Se i fatti sono chiari, se le prove schiaccianti, perché portare il processo in cassazione al solo fine di dare una speranza al detenuto di una pena inferiore? Ci devono essere delle misure, che scoraggino il ricorso in cassazione in tutti i casi.

 

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GLI ISTITUTI di PENA

L’opinione pubblica, ma spesso anche i politici, una volta che un criminale è stato assicurato alla giustizia, si disinteressano di ciò che succede dietro le sbarre. È un grosso errore perché un sistema carcerario efficiente che abbia come principale obiettivo il recupero dei malavitosi, costituisce parte integrante del sistema giudiziario. In altre parole un “carcere che funziona”, aiuta anche a ridurre il tasso di criminalità. Ma andiamo con ordine.

   Gli istituti di pena hanno principalmente due scopi: proteggere la società e prestabilire un percorso di recupero per le persone che hanno commesso reati. Per questo motivo nella gestione di un carcere bisogna tutelare due tipi di sicurezza.

 

La sicurezza “esterna”. Gli istituti di pena devono “isolare” il criminale dalla società per impedire che faccia del male agli altri cittadini. L’esigenza della sicurezza deve prevalere su ogni altra, in altre parole, occorre non solo prendere tutte le misure per evitare che i detenuti evadano (comprese attività esterne del carcere, difficili da controllare), ma usare tutte le precauzioni per impedire che il detenuto continui a dirigere attività illegali dalla sua cella o a nuocere in qualche modo alla società. Uno dei sistemi più efficaci sono le telecamere di sorveglianze collegate con una sede esterna della polizia.

 

   La sicurezza interna. I penitenziari, l’abbiamo visto nei film, possono essere dei luoghi molto violenti, dove prevalgono le leggi dei clan o addirittura i boss mafiosi continuano a comandare. In altre parole, bisogna evitare assolutamente che la prigione all’interno, per certi versi sia controllata dai leader scelti dai detenuti stessi. Attualmente in alcune prigioni si formano diverse fazioni, ognuna capeggiata da un capo.

Inoltre occorre impedire con tutti i mezzi che dall’esterno arrivino: sostanze psicoattive, alcol e ogni genere di merce e telefonini, con cui i malavitosi continuano a comunicare tranquillamente con le loro famiglie. Come pure deve essere impedito assolutamente che i detenuti facciano proselitismo all’interno del carcere (ad esempio regalino a tutti un vestito nuovo, come facevano i boss mafiosi un tempo) o formino dei gruppi.

Le misure per mantenere l’ordine nelle prigioni sono note: niente bottiglie di vetro, posate di ferro o qualsiasi oggetto che possa essere trasformato in un’arma, divieto assoluto di tenere telefonini (anche le guardie), abbreviazione della pena per chi dimostra buona condotta.

 

Per secondo occorre evitare in tutti i modi che i detenuti vengano in contatto con un gran numero di criminali e socializzino con essi, ad esempio refettori dove mangiano 200 persone insieme andrebbero evitati, meglio costituirne 4 dove mangiano sempre le stesse 50 persone. Nei casi di carceri di massima sicurezza i pasti vanno consumati in cella.

Per terzo le ore di aria vanno concesse a turno, a piccoli gruppi, sempre gli stessi, in modo che il delinquente non abbia molte occasioni di stabilire molte relazioni con altre persone pericolose. Bisogna assolutamente evitare che all’interno si formino bande che in futuro possano operare all’esterno. La cosa più dannosa che può produrre un penitenziario è permettere al detenuto di fare amicizie “pericolose”, che poi gli restano una volta in libertà.

Il carcere come scuola di crimine. È un’altra cosa da evitare in tutti i modi, altrimenti significa fare un piacere a questi signori. Non deve succedere che cittadini, arrestati se mai per evasione fiscale, imparino a rubare una BMW o come organizzare una rapina o ripulire un appartamento.

Allo stesso modo, i penitenziari non devono diventare un luogo di reclutamento per la malavita organizzata. A volte nei penitenziari nascono bande, che, poi, opereranno all’esterno una volta tornati liberi. In parole povere bisogna prendere tutte le precauzioni per evitare che la detenzione si trasformi in un’università del criminale. A nostro avviso il miglior modo per realizzare questo obiettivo è evitare che il detenuto tessa tantissime relazioni o venga in contatto con soggetti mafiosi o camorristi.

 

    Il recupero. Secondo la Costituzione italiana le pene “non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. È un principio giusto che nessuno mette in dubbio, però è bene liberare il campo da possibili equivoci. Non si possono recuperare i criminali soltanto con attività di socializzazione, spettacoli teatrali o con colloqui con lo psicologo. Il miglior modo per ottenere dei risultati con i detenuti è, innanzitutto, abituarli a rispettare le regole del vivere insieme. Se si permette che facciano il loro comodo, che in carcere comandino i boss mafiosi, circolino droga e alcol ecc. si fa un pessimo servizio alla società.

Una volta nelle carceri i detenuti dovevano rispettare la disciplina militare, erano costretti a marciare, a rispondere all’appello ecc., insomma erano trattati un po’ come dei soldati. Non era una strategia del tutta sbagliata in quanto si insegnava una cosa importantissima: la disciplina. Se, invece, nel carcere vige il lassismo, ognuno si alza quando vuole, guarda la televisione a tutte le ore del giorno, guarda in continuazione film porno ecc. insomma fa tutti i comodi suoi e vige la legge del più forte, cioè i detenuti più anziani o più forti prevalgono su quelli più deboli, il detenuto ne uscirà abbrutito.

 

L’altra cosa da evitare assolutamente è il super affollamento, perché equivale a un raddoppio della pena. Stare in 5 o 6 in una cella di 3 m per 4, significa sottoporre i detenuti a un forte stress. Come pure, l’applicazione dei regolamenti, non deve impedire di offrire buone condizioni ambientali al detenuto. Non ha senso fare celle strette, un detenuto costa allo Stato quasi la stessa somma sia che abbia soltanto 2 mq a disposizione, che ne abbia 5 mq. Non solo le nuove carceri devono essere spaziose, luminose, ma anche avere ampie finestre e non devono stare più di 2 persone per cella.

 

Nelle prigioni devono essere praticati sport di squadra, come palla a volo, palla a canestro, calcio ecc., ma soprattutto queste attività devono essere controllate dalle guardie carcerarie affinché tutti i componenti della squadra rispettino le regole. Se un giocatore in una partita calcio mira chiaramente a rompere le gambe dell’avversario, deve essere espulso immediatamente dal campo (e punito se ferisce un compagno).

Al contrario devono essere vietati gli sport violenti, come la boxe, la lotta greco romana o attività sportive come il body building, che esaltano le prestazioni fisiche. Come pure deve essere vietata la visione di spettacoli televisivi come incontri di wrestling o di programmi con dimostrazioni di forza e di violenza, film che esaltino il crimine e la violenza, incoraggino l’odio razziale o la ribellione. Un film deve ritenersi proiettabile se, alla fine, vincono i buoni e i criminali vengono puniti.

A queste misure, ovviamente, bisogna affiancare i metodi di recupero: incontri settimanali con uno psicologo, frequenti colloqui (questo negli ultimi anni di detenzione) con i rappresentanti delle associazioni di volontariato in modo che i detenuti incomincino a pensare al loro reinserimento nella società, una volta usciti di prigione. L’azione degli psicologi deve essere soprattutto mirata a curare le persone affette da personalità antisociale e a rimuovere anche problemi psichici che possono spingere l’individuo, una volta scontata la pena, a delinquere di nuovo.

 

   Il lavoro. Se si abitua queste persone a oziare, a guardare la televisione giornate intere o a leggere stupidi giornali sportivi o a vedere DVD pornografici, non ci si può poi lamentare che una volta fuori non abbiano voglia di lavorare. Ormai queste persone sono disabituate a passare lunghe ore in fabbrica o a svolgere compiti lunghi e impegnativi.

Un ottimo sistema, usato in tutto il mondo, è quello di farli lavorare o tenere loro dei corsi di qualificazione professionale. Bisogna insegnare a queste persone a fare lavori come il carrozziere, il meccanico, l’idraulico ecc., in modo che una volta fuori abbiano un’alternativa al delinquere. A tale scopo si dovrebbe permettere ai detenuti non pericolosi di fare dei lavori per ditte esterne.

 

LE MISURE ALTERNATIVE alla DETENZIONE

Le misure alternative alla detenzione, che ormai esistono nella maggior parte dei paesi sviluppati, permettono ai condannati di scontare in tutto o in parte la pena al di fuori del carcere al fine di facilitarne il reinserimento nella società.

 

L’affidamento ai servizi sociali. Consiste nella possibilità per il condannato di espiare la pena al di fuori del carcere sotto la sorveglianza del servizio sociale penitenziario. Questa misura, in genere viene concessa solo in presenza di condanne alla reclusione inferiori a tre anni, richiede l’esistenza di requisiti che variano da caso a caso. Se il condannato, però non si attiene alle prescrizioni impostegli o viola nuovamente la legge, l’affidamento gli deve essere revocato.

 

La semilibertà consiste nel permettere al condannato di trascorrere fuori dal carcere parte della giornata soprattutto allo scopo di fargli esercitare un’attività lavorativa o di studio. Questa misura nel nostro paese viene concessa per le pene di reclusione inferiore a sei mesi o ai condannati a una pena detentiva inferiore a tre anni o che abbiano scontato almeno metà della pena. La legge prevede numerose limitazioni all’applicazione della semilibertà in presenza dei reati più gravi come l’associazione di stampo mafioso, l’omicidio, lo spaccio di droga e il sequestro.

 

La detenzione domiciliare può essere concessa per le pene dell’arresto e della reclusione inferiore a 4 anni ad alcune categorie di condannati: donne incinte o in allattamento o con figli conviventi di età inferiore a dieci anni; padri con figli conviventi di età inferiore a dieci anni e privi di assistenza materna; persone con oltre 60 anni di età; persone che versano in gravi condizioni di salute e necessitano di cure incompatibili con la detenzione in carcere; persone con meno di 21 anni di età in presenza di gravi motivi di salute, lavoro, studio o famiglia. La detenzione domiciliare viene scontata dal condannato nella sua abitazione o in strutture pubbliche di cura e assistenza. L’allontanamento volontario da questi luoghi deve essere equiparato dalla legge all’evasione.

 

La liberazione anticipata consiste nella riduzione della pena detentiva, deve essere concessa nel caso il condannato abbia dimostrato di partecipare all’opera di rieducazione e abbia dimostrata buona condotta. Questa misura mira a stimolare il detenuto a impegnarsi fattivamente nel processo rieducativo in vista del beneficio della riduzione della pena, però, non deve mai superare il 25% della pena.

 

L’ASSISTENZA AGLI EX DETENUTI. Molte ricerche, come abbiamo accennato nel capitolo “Ministero dell’interno”, hanno dimostrato che chi esce di prigione e non ha una casa o un lavoro, nell’80% dei casi torna a delinquere. Per questo motivo chi ha scontato la sua pena deve trovare all’esterno una struttura pronta a fornirgli appoggio logistico e sostegno psicologico. Lo scopo è quello di favorire il suo reinserimento nel tessuto sociale. Bisogna creare delle associazioni nazionali che si interessano delle persone che hanno pagato il loro debito con la giustizia, coinvolgendo anche gli enti locali. Chi non ha una famiglia o una casa quando esce deve avere almeno un tetto sulla testa e 2 pasti al giorno. Non è errato assegnarli anche un piccolo sussidio mensile per 6 – 9 mesi finché non ha avuto modo di trovare un lavoro.

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