13 – MINISTERO DELLA SALUTE

CAPITOLO XIV

MINISTERO DELLA SALUTE

Il settore sanitario è un settore particolare a cui non si possono applicare le leggi del mercato. La salute è un bene così prezioso che non può essere lasciato alla legge della domanda e dell’offerta. Il paziente, in pratica, è disponibile a pagare qualsiasi prezzo pur di ottenere un certo farmaco o certe prestazioni mediche, per lui vitali. I prezzi delle “prestazioni sanitarie”, infatti, sono molto più alte che negli altri settori e i medici, non solo nel nostro paese ma in tutto il mondo, sono una delle classi sociali che guadagna di più. Nessun altro professionista, ad esempio, prende € 150 per una prestazione di mezz’ora, che è la durata di una visita specialistica.

La seconda cosa che rende il settore particolare è che la medicina necessita di personale altamente specializzato e di macchinari molto costosi. Se si applicassero, perciò, le leggi del mercato, considerando che i medici sono relativamente pochi, in quanto i corsi di studi sono lunghi e costosi, i prezzi delle prestazioni mediche sarebbero molto più alte di adesso, col risultato che le classi meno abbienti non sarebbero in grado di pagarsi le cure mediche o consumerebbero tutti i loro risparmi ogni volta che si ammalano. Da ciò la necessità dell’intervento dello Stato per calmierare il settore.

All’origine del problema c’è anche un fenomeno positivo: oggi la popolazione vive più a lungo e richiede più cure. Anche la tecnologia ha un impatto duplice: da una parte migliora la possibilità di trovare rimedi nuovi ed efficaci, dall’altra aumenta la domanda di terapie e dunque i costi. Con i progressi tecnologici, infatti, le cure mediche sono diventate sempre più costose e non sembra che questo processo voglia fermarsi. Dai rimedi semplici di 30 anni fa, quando in pratica esistevano solo i farmaci e gli interventi chirurgici, si è passati all’uso di macchine sofisticatissime e molto costose. Si pensi, ad esempio, che un trapianto di cuore può costare circa un milione di euro.

 

In conclusione, il settore sanità è un settore particolare che non può essere lasciato completamente alla libera iniziativa dei privati o alle leggi del mercato (a meno che non si vive in un paese, come il Principato di Monaco, in cui la stragrande maggioranza della popolazione gode di un reddito elevato). Lo stato deve essere presente con strutture proprie o deve per lo meno assicurare cure mediche alle classi sociali meno agiate. Insomma è un settore dove ha senso parlare di sanità pubblica, ma vediamo innanzitutto le caratteristiche che deve avere un sistema sanitario moderno.

Caratteristiche di un sistema sanitario moderno. Il Servizio sanitario nazionale, in una vera democrazia non può che essere un sistema a carattere universalistico, nel senso che deve garantire l’assistenza sanitaria a tutti i cittadini senza distinzioni di genere, residenza, età e reddito, e solidaristico, nel senso che lo Stato deve contribuire alle spese sanitarie delle classi più deboli e le persone benestanti devono “pagare” un po’ in più dei meno abbienti.

 

Oltre a ciò, il sistema sanitario deve soddisfare principalmente 4 criteri:

1) Offrire una buona qualità dei servizi e delle prestazioni mediche. In parole povere bisogna predisporre dei meccanismi di controllo della qualità. Non siamo i soli a muoverci in questa direzione. Ad esempio in Italia l’Aiop, l’associazione degli ospedali accreditati, ha messo a punto una serie di indicatori su quantità e qualità delle prestazioni fornite. In particolare sono importanti gli indicatori che riguardano il livello di soddisfazione degli utenti.

 

2) Rispondere a criteri di economicità, cioè il sistema deve essere amministrato secondo il criterio di raggiungere il massimo risultato, con il minimo costo.

 

3) Avere una certa autonomia dal potere politico. Lo scopo è evitare casi di clientelismo o, peggio, di corruzione.

 

    4) Garantire la libertà di scelta. I cittadini devono poter scegliere liberamente a quali strutture rivolgersi ed avere la possibilità di rivolgersi ai medici che ritengono più validi.

 

    I SERVIZI. Un Servizio Sanitario Nazionale, che voglia definirsi moderno ed efficiente, deve offrire i seguenti servizi:

1 – Medicina di base (medici di famiglia). 2 – Ambulatori specialistici (sia per visite specialistiche, sia per analisi e accertamenti). 3 – Strutture ospedaliere (ricoveri per gravi malattie o per interventi chirurgici) 4 – Servizi di emergenza (servizio autoambulanze, pronto soccorso ecc.). 5 – Assistenza farmaceutica. 6 – L’assistenza psichiatrica.

A un gradino più alto troviamo “le compagnie di assicurazione sanitarie”, che in pratica sono quelle che pagano le prestazioni mediche dei cittadini, dai farmaci, all’assistenza ospedaliera, ai servizi di emergenza. In molti paesi, come l’Italia, in cui la sanità è quasi del tutta pubblica, non esistono (pagano le Regioni che gestiscono anche gli ospedali e altri servizi medici). È un grosso errore perché, come vedremo, hanno una loro indubbia utilità.

 

LE COMPAGNIE di ASSICURAZIONE SANITARIA

Le prestazioni sanitarie in alcuni paesi come l’Italia sono pagate dalle Regioni, come pure l’assistenza ospedaliera, infatti dopo l’abolizione dei vecchi enti mutualistici (come l’INAM), tutto è passato nelle mani del Servizio Sanitario Nazionale che ripartisce i fondi, mentre le strutture sono state trasferite alle Regioni. Tuttavia non esiste una netta distinzione tra queste due funzioni ed è questo un grosso errore, in quanto tale sistema non solo è poco efficiente, ma non risponde a precisi criteri di economicità.

Nel nostro paese, infatti, la qualità dei servizi offerta è piuttosto scadente e il sistema assorbe molte più risorse che in altri paesi europei (non per niente la stragrande maggioranza delle Regioni ha accumulato debiti enormi, che in futuro potrebbero portare al collasso il servizio sanitario). Non intendiamo, però, interessarci “di come vanno le cose in Italia”, in quanto, specialmente in questo campo, è tutt’altro che un modello di efficienza, ma passare subito a vedere come dovrebbe essere organizzata la sanità in un paese bene amministrato.

 

Il cardine del sistema di un moderno sistema sanitario sono le compagnie di assicurazioni sanitarie, che in pratica, svolgono i compiti che una volta erano assolti in Italia dalle vecchie mutue, ossia pagano le prestazioni mediche di cui usufruiscono i cittadini. In effetti costituiscono il sistema finanziario, la linfa “monetaria” che fa funzionare il tutto.

La presenza di compagnie autonome permette un maggiore controllo sulla spesa sanitaria. Dato che devono far quadrare i propri bilanci cercheranno la via più economica per risolvere i problemi di salute della gente. Non serve a niente, ad esempio, per dare maggior economicità al sistema, trasformare gli ospedali in Aziende Sanitarie come si è fatto, col risultato che un parto in Italia (parliamo degli anni Ottanta) veniva a costare al servizio sanitario nazionale circa 6 milioni delle vecchie lire (quasi 3.500 dollari di allora), mentre a New York si poteva partorire con meno di 1.000 dollari in quasi tutti gli ospedali.

Anche oggi, spesso le tariffe di celebri cliniche straniere, ad esempio il centro di cardiochirurgia del principato di Monaco o la cliniche Emile de Vialar di Lione, specializzati in ortopedia, sono più convenienti di quelle che gli ospedali pubblici italiani fanno pagare all’ASL.

 

Le compagnie di assicurazioni, tornando al nostro discorso, essendo costrette all’economia di gestione, per evitare che i loro bilanci vadano in rosso, invece, contratteranno direttamente con gli ospedali i prezzi delle prestazioni. Ad esempio, se un ospedale chiede 80.000 euro per una semplice operazione di appendicectomia, possono dirottare altrove il loro paziente (e cancellare l’ospedale, se è troppo caro, dall’elenco di quelli convenzionati). Le aziende ospedaliere, quindi, non avrebbero più di fronte il paziente debole e indifeso, spesso ignorante in materia e per lo più in una posizione di inferiorità psicologica (cioè pur di guarire è disposto a tutto), ma la sua compagnia di assicurazione.

Non solo le assicurazioni sanitarie contratteranno i prezzi, ma controlleranno anche che il suo assistito non sia sottoposto a esami inutili, a trattamenti sbagliati e gli consigliano, nel caso che ritengono che non venga curato adeguatamente, di farsi ricoverare in ospedali più qualificati. Questo perché proteggendo gli interessi del paziente, proteggono anche i loro, in quanto se quest’ultimo non guarisce, andrà in un’altra struttura e l’assicurazione dovrà sborsare altri soldi. Al contrario più presto guarisce, meno soldi la compagnia dovrà pagare.

Sempre al fine di tenere bassi i costi, le assicurazioni sanitarie devono essere obbligate a pagare a seconda delle prestazioni erogate e non a seconda dei giorni che il paziente passa in ospedale. Ad esempio, pagherà una tot somma per un’operazione di appendicectomia, indipendentemente dal numero di giorni che il suo assistito ha trascorso in ospedale. Lo scopo è quello di rendere poco convenienti le lunghe degenze e quindi far sì che gli ospedali accelerino prima le procedure di diagnosi, poi le terapie.

 

Le assicurazioni sanitarie, quindi, nel nostro modello, assolvono due funzioni: controllo della spesa sanitario e controllo della qualità del servizio. Ad esempio, se nel passato hanno avuto problemi con un chirurgo, che si è rivelato incapace e ha rovinato un loro cliente, possono farlo presente al loro assistito e consigliarlo di farsi operare da un’altra persona. Non solo, ma se ritengono che uno dei loro assistito è stato curato male o ha subito un’operazione chirurgica sbagliata, possono promuovere azione legale contro l’ospedale, richiedendo un adeguato risarcimento dei danni.

Questa innovazione complicherà di molto la vita degli ospedali, ma ciò li obbligherà a migliorare i servizi, perché non avranno più a che fare solo con il paziente, spesso indifeso, ma con la sua compagnia sanitaria. Ad esempio, saranno costretti a tenere in organico medici e chirurghi preparati, perché ogni volta che questi ultimi fanno errori, saranno citati davanti a un tribunale.

Ma passiamo agli aspetti pratici e affrontiamo il problema delle risorse da destinare al settore sanitario.

 

    Il finanziamento. La spesa sanitaria deve essere finanziata soprattutto in 4 modi:

1) Con un’assicurazione sanitaria, cioè mediante una trattenuta sulla busta paga dei lavoratori o dei pensionati, che va alla compagnia sanitaria scelta dall’utente. Per i disoccupati paga lo stato, attingendo dal prelievo fiscale. Non è giusto che, come succede in alcune paesi come gli USA, i meno abbienti restino senza una copertura sanitaria (problema a cui ha cercato di ovviare il presidente Obama).

 

2) Con un contributo previdenziale sulle assicurazioni delle auto, come si fa oggi in Italia (il S. S. N. ), cioè ogni assicurato paga ogni anno una piccola quota, che poi va alle compagnie sanitarie. Dato che circolano milioni di auto è un contributo importante, da non sottovalutare.

3) Con una piccola tassa sulle sigarette, sugli alcolici o sulle bevande e i cibi che fanno male alla salute.

 

4) Ticket. Per le visite specialistiche, per alcuni farmaci e per certe prestazioni, come già in uso nella stragrande maggioranza dei paesi avanzati, si fa pagare un ticket che ha due effetti benefici: 1) Limitano la richiesta di prestazioni, cioè l’utente si rivolge alle strutture pubbliche solo quando è necessario. 2) Alleviano la spesa sanitaria, in quanto costituiscono una considerevole entrata. Per le persone che non possono permettersi di pagare neanche il ticket o i malati cronici deve essere un ente locale, in Italia il comune, a intervenire.

 

LA GESTIONE delle COMPAGNIE SANITARIE

L’esperienza del passato ci ha insegnato che se si vuole evitare che le assicurazione sanitarie si trasformino in carrozzoni clientelari bisogna sottrarle al diretto controllo dei politici. Esse devono essere perciò autonome e indipendenti, in altre parole in grado di resistere alle “pressioni” di chi è al potere, ad es. quando chiedono assunzioni clientelari o riforme che comportano aggravamenti ingiustificati della spesa pubblica. Questo perché, finché saranno i politici a gestire la sanità, non finiranno mai inefficienze e corruzione.

Un volta assodato che è fortemente sconsigliabile lasciare completamente nelle mani pubbliche le assicurazioni sanitarie le alternative possibili potrebbero essere tre:

 

LE COMPAGNIE di ASSICURAZIONI PRIVATE.

È il sistema che esiste nella stragrande maggioranza dei paesi americani, Usa in testa. In effetti esistono varie società private, in concorrenza tra di loro, che si occupano dell’assistenza sanitaria dei propri assistiti trattenendo una piccola quota dalle buste paghe dei dipendenti o dei pensionati. In parole povere, lo stato favorisce la nascita di 5 – 6 compagnie nazionali e ogni utente sceglie quella che vuole. Il controllo qualità resta nelle mani dell’utente che può scegliere l’assicurazione sanitaria che vuole (se è trattato male, può cambiare in qualsiasi momento).

 

Vantaggi. È una soluzione che non comporta oneri per lo stato e scaricherebbe sui privati una delle principali voci passive del bilancio dello stato: la spesa sanitaria. Una riforma del genere in Italia, varata contemporaneamente con quella del sistema pensionistico, potrebbe portare a una riduzione notevole della spesa pubblica. In secondo luogo passando la gestione nelle mani dei privati si migliorerebbe molto l’efficienza, l’economicità e si eviterebbero tanti sprechi. I privati sanno gestire queste società sicuramente meglio dello stato.

 

Gli svantaggi. L’esperienza degli altri, in particolare quella americana, purtroppo ci insegna che questa soluzione non è priva di difetti. Scegliendo una gestione completamente privata delle compagnie sanitarie, si va incontro a questi problemi:

 

  1. a) Contributi alti. Considerando che si tratta di compagnie private e che quindi ci vogliono guadagnare sopra, le quote che ogni lavoratore deve pagare per garantirsi l’assistenza sanitaria potrebbero risultare abbastanza esose. L’ostacolo è superabile in tre modi: a) Integrandoli con fonti attinte dal prelievo fiscale, d’altronde lo si fa già oggi. b) L’assicurazione sanitaria non deve coprire le spese per check up, trattamenti estetici, esami non strettamente necessari, farmaci non vitali ecc., ma solo quelle per gravi malattie. C) Deve essere il parlamento ad autorizzare richieste di aumenti dei contributi da parte delle compagnie sanitarie, da concedere soltanto se dimostrano che c’è stato un aumento dei costi.

 

  1. b) La tutela dell’utente. Il legislatore dovrebbe studiare tutte le misure possibili per tutelare l’utente da possibili vessazioni o “cavilli legali” da parte delle compagnie sanitarie in quanto, come c’insegna l’esperienza americana, le occasioni di conflitto saranno numerosissime, con grande gioia degli avvocati che avranno un altro ricco filone da sfruttare.

Tanto per cominciare, al fine di evitare sorprese spiacevoli, bisogna che ci sia un attento controllo sulla solidità economica sulle società che vogliono “fare” le compagnie di assicurazioni sanitarie. Devono dare precise garanzie di possedere i requisiti giusti, devono avere strutture sufficienti per svolgere il servizio, la loro solvibilità deve essere garantita dalle banche ecc.. In altre parole il rischio da evitare è che piccole compagnie aprano, raccolgono fondi, ma quando sarà il momento di pagare chiuderanno, chiedendo fallimento.

Per secondo, le compagnie di assicurazioni, come già succede spesso negli Stati Uniti, spesso cercheranno di sottrarsi ai loro obblighi. Ad esempio, scaricheranno un assistito ad es. se scoprono che è malato di cancro o rifiuteranno di assicurare le persone meno abbienti o di pagare un intervento chirurgico molto costoso. Per questo bisogna prevedere delle precise clausole nei contratti di assicurazione sanitaria, in modo che non sia possibile farlo. Contratti che devono essere controllati dal Ministero della Salute ed essere validi per tutti cittadini.

 

  1. c) Libertà di scelta. Facendo tesoro dell’esperienza americana, l’assicurato non solo deve avere un’ampia possibilità di passare da una compagnia all’altra, cioè se è trattato male, può cambiare in qualsiasi momento, ma anche deve poter scegliere il tipo di assicurazione. Ad esempio, può decidere, pagando leggermente in più, per una formula “all inclusive” che prevede anche check up ed esami di routine, a quella solo “malattie a rischio”. Nel secondo caso l’assistenza sanitaria è limitata soltanto al caso di gravi malattie non curabili a casa con una semplice farmacologia.

 

–          LE ASSOCIAZIONI di CATEGORIA.

    È il sistema che esisteva in Italia molti anni fa, quando c’erano le vecchie mutue. Ogni categoria aveva la sua assistenza sanitaria, c’era quella degli insegnanti, quella degli operai, degli edili e così via. Se si sceglie questa soluzione, però, occorre introdurre tre grosse differenze rispetto al passato: 1) Elezione democratica del presidente e del direttivo, cioè i vertici di queste compagnie devono eletti dalla base, quindi niente ingerenze da parte dei politici. 2) Ogni persona se vuole, pagando eventuali differenze dei contributi, può passare in un’altra categoria. Ad esempio, un insegnante può passare nell’ente assistenziale dei notai, basta che paghi gli stessi contributi che paga un notaio. In effetti ognuno è libero di cambiare “mutua”. 3) Buchi di bilancio comporteranno un aggravio dei contributi sanitari, pagati dagli utenti, in modo che essi siano oculati al momento delle votazioni.

–          ELETTE DIRETTAMENTE.

In questo caso le assicurazioni sanitarie restano pubbliche, ma i vertici sono eletti direttamente dagli utenti. Le cose funzionerebbero così: ogni 3 anni gli assistiti ricevono una scheda elettorale insieme ai programmi dei vari candidati. Ogni ente, così, avrà un consiglio di amministrazione, con una giunta formata dal presidente ecc., in parole povere diventa un piccolo ente locale che viene gestito dal “presidente” che ha vinto le elezioni.

Il loro compito, però, deve essere unicamente quello di fungere da compagnie di assicurazione sanitarie, non dovrebbero cioè gestire ospedali o strutture ambulatoriali. Lo scopo è quello di evitare che “controllati” e “controllori” siano la stessa cosa.

Le cose dovrebbero funzionare meglio per un motivo molto semplice, perché se gestiscono male la sanità, saranno gli utenti stessi a mandarli a casa. In questo modo si sottrarrebbe il controllo di questi istituti agli enti locali, da noi le Regioni (a nostro giudizio una scelta disastrosa), riducendo clientelismo, inefficienze e corruzione.

  

L’ASSISTENZA SANITARIA di BASE

Il sistema attualmente vigente in Italia è abbastanza semplice. Le ASL danno al medico di famiglia una certa quota annuale per ogni paziente e questi lo assiste per quanto riguarda la medicina di base. Il controllo di qualità, almeno in teoria, è effettuato dal paziente stesso. Se quest’ultimo ritiene che il suo medico non svolge adeguatamente la sua professione, va alla ASL e lo cambia. Il medico, da parte sua, ha tutto l’interesse a trattare bene i suoi pazienti, in quanto più ne ha, più guadagna.

È un buon sistema, in quanto abbastanza semplice e non si presta a speculazioni, però, se si opta per questa soluzione occorre prendere alcune misure.

 

    Il numero chiuso. In Italia dato che solo a pochi è concesso il privilegio di avere la mutua, la stragrande maggioranza dei medici ha già 1.500 mutuati, che sono il massimo. Un paziente, quindi, quando va per cambiare medico scopre che i professionisti più bravi sono strapieni e che spesso l’unica alternativa è scegliere un medico che ha lo studio a molti chilometri lontano da casa sua. Se si vuole scegliere questo sistema, per quanto riguarda la medicina di base, è necessario liberalizzare l’accesso alla professione, nel senso che tutte le persone che hanno i titoli e i requisiti devono avere la possibilità di aprire uno studio di medicina di base. Se c’è il numero chiuso, si limita la possibilità di scelta e non c’è concorrenza, quindi, cade il discorso sul controllo della qualità.

 

L’orario di apertura degli studi medici. Con 1.500 mutuati, non si può restare aperti solo due ore al giorno, come spesso fanno alcuni medici in Italia. Per non contare che molti di essi, scrivono dalle 8.30 alle 11, ma poi arrivano dopo le nove e vanno via alle 10.30 con la scusa di una visita domiciliare, tanto nessuno li controlla. In altre parole deve fissato il numero di ore giornaliere che lo studio deve restare aperto e ci deve essere qualcuno che di tanto intanto verifica. Identico discorso per le ferie, dato che i medici devono pagare di tasca propria i sostituti, spesso con la scusa che non trovano nessuno, chiudono lo studio mettendo fuori un cartello con il nome di un altro medico a cui rivolgersi. Solo che questo medico non di rado sta a chilometri di distanza, in una zona mal servita dagli autobus, e ha già altri 1.500 mutuati (in totale 3.000 pazienti da visitare sempre nelle 2 ore giornaliere).

Il risultato è che i medici spesso svolgono i propri compiti rapidamente e con superficialità, fanno i referti per telefono, tralasciano alle segretarie il compito di trascrivere i farmaci, fare ricette e compilare certificati medici. Molti sostengono che sono esse i veri medici di famiglia (per fortuna non tutti sono così, ci sono anche quelli che lavorano più di quanto dovrebbero).

Il rimedio è semplice, l’orario di apertura, concordato con l’ASL, deve essere affisso alla porta insieme a un numero verde, in modo che se i pazienti notano che non sia rispettato basta una telefonata anonima per far scattare dei controlli (oltre a quelli di routine).

 

    Le segretarie. È un altro dolente tasto del sistema italiano, mentre il medico può arrivare a guadagnare 5.000 – 6.000 al mese (contando le prestazioni extra, come certificati ecc.) alle persone che lavorano nello studio medico non sono date più di 600-800 euro al mese e quasi sempre in nero. Anche in questo caso dovrebbero esserci dei controlli in modo che non siano permesse illegalità.

 

L’ASSISTENZA OSPEDALIERA

Gli ospedali sono istituzioni con personale medico e infermieristico organizzato e con attrezzature permanenti. Forniscono una gamma di servizi medici, tra cui la chirurgia, alle persone che necessitano di cure intensive o di essere tenute in osservazione, comprendono anche strutture specializzate per il pronto soccorso, per il parto e l’assistenza ai neonati, nonché vari servizi ambulatoriali.

  Gli ospedali sono l’ossatura del sistema sanitario, perché spesso sono chiamati a curare malattie in cui è in gioco la vita e perché i costi dei servizi ospedalieri ormai sono così alti, che quasi sempre sono al di fuori delle possibilità economiche delle famiglie (in fondo la maggior parte delle famiglie si può permettere di pagare una visita specialistica o di comprare dei farmaci, ma non è così per un’operazione chirurgica) per questo motivo nell’assegnazione dei finanziamenti devono avere precedenza assoluta.

In fondo, nei periodi di dissesti delle finanze pubbliche, si può anche fare a meno della medicina di base (il paziente paga di tasca propria la visita medica) ma non è così per l’assistenza ospedaliera. Per questo motivo, se i fondi non bastano, bisogna tagliare sugli altri servizi non su quelli da destinare agli ospedali.

Riguardo la gestione, il dibattito è se devono restare pubblici o essere affidati ai privati, se mai in regime convenzionato. Si è pensato anche alle società miste, ma dato che presentano gli stessi difetti di quelle pubbliche, è un’opzione che non vale la pena nemmeno di prendere in considerazione.

LE STRUTTURE PUBBLICHE

L’assistenza sanitaria pubblica e gratuita per tutti è stata per lungo tempo una bandiera per molti partiti, soprattutto quelli di sinistra. È una posizione dal punto di vista teorico inattaccabile; perché tutti i cittadini non devono essere uguali almeno riguardo la salute? C’è qualcosa di più bello di ospedali pubblici che curino in modo gratuito i pazienti senza distinzione di classe sociale, di razza o di reddito?

Sfortunatamente si tratta di una concezione romantica, ideale, ma che, però, dal punto di vista pratico col tempo ha dimostrato di presentare due difetti gravissimi:

 

1) I costi delle prestazioni mediche fatte pagare alle Asl sono molto più alte che nelle strutture private. Calcolando che, anche per effetto dell’invecchiamento della popolazione, le spese sanitarie sono crescenti, c’è già chi ha previsto che, anche nel caso che si riesca a migliorare la loro gestione, sono destinati a fallire perché ad un certo punto diventeranno un onere insostenibile per la società.

I fatti purtroppo, se si guarda all’enorme debito accumulato in Italia dalla stragrande maggioranza delle Regioni, stanno dando loro ragione. Ormai le spese per la sanità assorbono più del 50% del bilancio delle Regioni. I conti degli ospedali pubblici sono perennemente in rosso (anche perché c’è tanta corruzione). I loro servizi costano agli utenti almeno il doppio o triplo di un ospedale privato con le stesse caratteristiche. E le previsioni per il futuro sono nere: i costi aumenteranno sempre di più fino a diventare insopportabili.

Per citare delle statistiche, nel 1991 (data dell’articolo da cui abbiamo attinto i dati) ogni giornata di degenza costava 594.000 delle vecchie lire negli ospedali pubblici, 628.000 nelle cliniche universitarie e 448.000 nei grandi ospedali privati convenzionati.

Notevoli risparmi si potrebbero ottenere introducendo dei ticket, che hanno due vantaggi: regolano l’afflusso dei pazienti evitando abusi e costituiscono una voce attiva non trascurabile nei bilanci delle aziende ospedaliere. Per il paziente, eccetto le persone con un reddito molto basso, non sarebbe un problema pagare 10 euro al giorno per la degenza (in fondo a casa spende forse di più), ma per la struttura potrebbe costituire una non trascurabile entrata.

 

2) Non riescono ad offrire standard di qualità accettabili. Accanto a casi di eccellenza, più frequenti nel Nord Italia, troviamo moltissimi esempi di ospedali che erogano pessimi servizi. Tutti i giorni leggiamo sui giornali di casi di malasanità, come pure non sono rari i casi di diagnosi o di terapie sbagliate. Nelle corsie di queste strutture è piuttosto frequente sentire storie di persone che sono riuscite a guarire, solo perché coraggiosamente si sono dimesse per farsi ricoverare in un altro ospedale. A volte i pazienti prima di trovare l’ospedale giusto in grado di risolvere i loro problemi di salute sono stati costretti a cambiarne due o tre. In effetti, nelle aziende ospedaliere pubbliche manca un adeguato controllo della qualità.

Altri difetti di una gestione completamente pubblica sono:

1) Corruzione e clientelismo. Essendo gestiti da politici o da persone da esse nominate, perciò subiscono le loro pesanti ingerenze. Ad esempio, non è raro il caso che le assunzioni siano fatte con metodi clientelari. A volte, dietro la facciata di concorsi liberi o di criteri meritocratici, c’è un’unica realtà: ognuno piazza i propri uomini, perché in campagna elettorale si trasformeranno in voti. Anche per le promozioni o per assegnare i posti direttivi non sempre si seguono criteri meritocratici.

Una volta per diventare primario bisognava fare un corso, avere certi requisiti ecc., oggi è più importante essere amico dell’assessore alla Regione. Per fortuna non sempre è così, ci sono anche tanti politici che ci tengono a mettere alla direzione di un reparto gente di valore. Sanno che un chirurgo o un primario bravo richiama molta gente ed è una buona pubblicità per l’ospedale.

La corruzione, invece, trova il suo terreno fertile nel gioco degli appalti. Dal servizio mensa, alla fornitura di nuovi macchinari, all’arredamento di nuove reparti ecc., ogni occasione è un’opportunità per lucrare sull’abbondante flusso di denaro pubblico che ogni mese arriva alle aziende ospedaliere.

 

2) Spesso nelle aziende ospedaliere pubbliche esistono delle sacche di disaffezione al lavoro. A volte i medici sono poco motivati. La mancanza di incentivi alla professionalità, la quasi inesistenza di controlli fanno sì che molte persone in ospedale si limitino a fare il minimo. Per non parlare di quelli che si imboscano o si fanno trasferire in servizi secondari.

 

3) Disservizi. Molte volte succede che alcune macchine non funzionino, oppure non si può operare per uno sciopero improvviso degli anestesisti o perché quel giorno il chirurgo è impegnato in un congresso medico. La burocrazia spesso è farraginosa, a volte bisogna indire gare di appalti anche per servizi semplici, poi ci sono i sindacati, le associazioni, i “diritti del malato” ecc., ogni iniziativa o, addirittura, tentativo di riforma trova mille ostacoli. Tutto è complicato, tortuoso e occasioni di lungaggini. Il privato non ha queste difficoltà, da un giorno all’altro può cambiare gli orari degli infermieri, la disposizione di una sala parto o comprare nuovi macchinari senza fare nessuna gara d’appalto.

 

4) Quasi tutti gli ospedali sono degli eterni cantieri, qui parliamo delle strutture edilizie, finisce un lavoro e ne comincia un altro. E tutto ciò favorisce corruzione e clientelismo. E dato che anche per il minimo lavoro bisogna indire gare di appalto ecco che si crea un giro non virtuoso, tra cui avvocati che approfittano delle beghe ecc..

 

5) Gli ospedali pubblici hanno di solito molti più dipendenti di quanto ne ha uno privato della stessa grandezza e con le stesse caratteristiche. Quando non c’è alcuna finanziaria a bloccare le assunzioni, ogni politico cerca di inserire i suoi e ciò porta a gonfiare gli organici.

 

6) Cattiva amministrazione. Non si contano le inefficienze e gli sprechi, macchinari nuovi fatti marcire nei sottoscala perché non c’è il personale capace di farli funzionare (e per assumerli sono necessari dei concorsi che durano anni), personale utilizzato male ecc..

 

7) I fondi spesso distribuiti in modo sbagliato o clientelare. Può accadere che un reparto che funzioni male viene finanziato nello stesso modo, se non di più, di un altro. Ma anche seguire il principio opposto, come suggerito da alcuni politici, cioè di dare più fondi ai reparti che funzionano meglio e meno soldi a quelli che forniscono scarsa qualità, non è una soluzione. In questo modo si finisce per rendere ancora più inefficienti i reparti peggiori.

 

8) Inefficienze e sprechi negli acquisiti. Computer mai usati, attrezzature già superate, sale operatorie costate miliardi e mai entrate in funzione, per non parlare di ospedali interi costati miliardi e mai aperti.

 

9) Burocrazia elefantiaca, per rendersene conto basta visitare gli uffici di un grande ospedale pubblico: hanno più dipendenti di una multinazionale.

 

    Problemi creati dai dipendenti. A tutto ciò si deve aggiungere i problemi creati dai dipendenti:

1) I medici spesso usano l’ospedale pubblico per “attirare” clienti nei loro studi privati. Come individuano qualcuno che ha le possibilità economiche, gli fanno capire che l’unico modo per curarsi bene è farsi seguire privatamente in strutture da essi indicate. Se si è convinti che gli ospedali devono restare in mano pubbliche, è opportuno, per lo meno, che ci sia incompatibilità tra pubblico e privato.

In Italia, nel periodo in cui era Ministro della Sanità, la signora Rosa Bindi, si vietò ai medici che operavano nelle strutture pubbliche di lavorare anche in quelle private, poi questa norma fu abolita. Fu un errore perché molti medici “manovrano” per favorire in tutti i modi queste ultime, così ci guadagnano.

Agli specialisti ospedalieri dovrebbero essere permesse solo le visite specialistiche intramoenia, tutt’al più quelle presso piccoli studi privati personali. In quest’ultimo caso è meglio non essere troppo rigidi, purché gli orari siano compatibili con quelli dell’ospedale e gli onorari richiesti non siano esagerati.

 

2) Corruzione e clientelismo. Poiché i posti nelle strutture dell’eccellenza sono molto ambiti, spesso i pazienti devono ricorrere ad amicizie e raccomandazioni per essere ricoverati o per essere inseriti tra il primi della lista di attesa per una operazione chirurgica. Già adesso molti specialisti fanno capire che se vuole essere curati bene è meglio rivolgersi ai loro studi privati (in effetti è una specie di tangente che si paga per avere un trattamento di favore); per non parlare delle telefonate di raccomandazioni che già oggi costituiscono gran parte del traffico telefonico ospedaliero. In parole povere, c’è tanta gente che usa gli ospedali pubblici per lucrare, finché si limita a poco, può essere ancora sopportabile, ma quando le pretese sono eccessive, per molte categorie di persone la sanità diventa un lusso.

 

3) Negli ospedali pubblici essendo i controlli scarsi non mancano neanche i casi di infermieri o dipendenti che si portano a casa siringhe, calze, farmaci e tutto ciò che è possibile arraffare, incluso la carta per le stampanti. Per non parlare di casi di sabotaggi, nel senso che infermieri o personale medico rendono inservibili un macchinario per dirottare i pazienti su ambulatori privati, convenzionati, facendo guadagnare milioni di euro a questi ultimi.

Problemi creati dagli utenti. Dato che gli ospedali pubblici non costano niente, non di rado la gente tende ad approfittare di questa generosità. Allora si vedono:

– Anziani parcheggiati per mesi negli ospedali, specialmente d’estate quando la famiglia va in ferie.

– Malati cronici, incurabili, pazienti terminali affetti da cancro scaricati dalle famiglie solo per non avere il fastidio di un malato in casa. Cioè persone che potrebbero essere curate a casa, restano in ospedale con costi altissimi per il servizio sanitario nazionale.

– Tossicodipendenti che affollano il pronto soccorso o i reparti e sottraggono preziose risorse ecc.. Non stiamo parlando di persone che hanno deciso di smettere, ma di persone in crisi di astinenza.

– Persone che si fanno ricoverare in ospedale per alcuni giorni soltanto per fare le analisi del sangue o un semplice checkup.

– Le corsie degli ospedali non di rado sono affollate di homeless, nomadi ecc., soprattutto di immigrati clandestini, cioè di persone che non ha mai versato un euro di contributo per l’assistenza sanitaria.

 

Infine i problemi lamentati dagli utenti. Non è finita, a tutti questi esposti sopra bisogna aggiungere i difetti lamentati dagli utenti, cioè dai pazienti.

Per prima cosa, il paziente, solo perché non paga, non è trattato come un cliente, ma spesso come un assistito, cioè quasi come qualcuno a cui si fa la carità di curarlo. In particolare, spesso i medici non lo informano adeguatamente sul suo male o sulle alternative terapeutiche. Negli ultimi anni in Italia “i tribunali dei malati” sono riusciti a fare progressi importanti in questo campo e ora le cose sono migliorate molto, ma siamo ancora lontani dal punto che il ricoverato sia trattato come un cliente.

 

Per secondo, gli ospedali con una buona nomea sono strapieni e il lavoro è moltissimo, perciò i medici sono costretti a fare tutto in fretta o lavorano in condizioni stressanti.

Il problema più grave degli ospedali pubblici, comunque, è che spesso è difficile trovare posto nei reparti ritenuti eccellenti. Se non si conoscono le persone giuste, bisogna ripiegare su strutture di provincia molto meno valide. Per rendersi conto di ciò, basta dare uno sguardo alle liste di attesa degli interventi chirurgici non urgenti. Per farsi operare un’ipertrofia prostatica a volte bisogna attendere anche 9 mesi.

 

Non andiamo oltre, perché i difetti degli ospedali pubblici sono noti a tutti data la loro presenza sul nostro territorio dal dopoguerra. L’unica cosa da aggiungere è che non sempre pubblico è sinonimo di inefficienza e di cattiva amministrazione. Per fortuna abbiamo anche tanti esempi di ospedali pubblici che funzionano benissimo. Come pure, non tutti politici sono corrotti e incapaci, alcuni di essi ci tengono a tenere nella loro zona un servizio sanitario efficiente e bene organizzato. Ma sono l’eccezione che confermano la regola e non sono una ragione sufficiente per tenersi una sanità completamente gestita dallo stato o, peggio, da un ente locale.

 

L’ASSISTENZA OSPEDALIERA CONVENZIONATA

La pessima reputazione degli ospedali pubblici, il loro costo eccessivo e i frequenti casi di corruzione e di clientelismo, spinge a ritenere più affidabile la soluzione degli ospedali in mano ai privati, ma in regime convenzionato. D’altronde è la via intrapresa da molte Regioni del Nord, prima tra tutte la Lombardia, che si affida in buona parte a strutture convenzionate. Per il paziente, non cambia quasi niente, la sua assicurazione sanitaria, invece, di pagare l’ospedale pubblico, paga quello privato convenzionato.

I vantaggi sarebbero non indifferenti: essendo gli ospedali convenzionati in mano ai privati, questi ultimi assicurerebbero competenza ed economicità nella gestione. Sono visti come la vera alternativa agli ospedali pubblici e per molti esperti l’unica strada possibile se vogliamo mantenere la spesa sanitaria entro limiti ragionevoli.

 

In Italia dal IV rapporto Aiop pubblicato nel 2006 è emerso che, benché gli ospedali accreditati coprissero, per numero di centri, il 44% dell’offerta ospedaliera complessiva, incidevano progressivamente meno, nel corso degli anni, sulla spesa corrente ospedaliera: dall’8,9% del 1999, al 7,7% del 2005. Mentre la spesa registrata per paziente dimesso è meno della metà rispetto a quella delle strutture pubbliche. Il rapporto sottolinea come sia presente ovunque una tendenza costante alla qualificazione dei servizi, più accentuata che nel settore pubblico. La bontà dell’offerta è confermata dalle percentuali di fidelizzazione dei pazienti: il tasso di fedeltà potenziale dichiarato per le scelte future è dell’84,9% per chi ha scelto il privato, rispetto all’80,9% per chi si è rivolto al pubblico.

Altri vantaggi di questa soluzione sono: i malati sono trattati con cortesia, cioè come clienti, il personale è più preparato, perché viene scelto con criteri diversi da quelli pubblici ecc.. In più, come abbiamo detto, queste strutture hanno il grande pregio di costare meno al servizio sanitario nazionale.

 

I difetti. Purtroppo anche questa soluzione non è quella ideale. Ecco le ragioni addotte da sostenitori dell’assistenza ospedaliera pubblica.

Le cliniche private, chiaramente mirano al massimo dei profitti, perciò si possono verificare:

Ricoveri inutili, esami non necessari, malattie inesistenti, operazioni che non andavano eseguite ecc.. Il caso della clinica di Milano Santa Rita di alcuni anni fa ci ha dato un saggio di cosa si può verificare in una struttura convenzionata. Talvolta l’aspetto economico, infatti, influenza pesantemente la scelta dei trattamenti terapeutici. Non mancano neanche i casi ai limiti della legalità: menischi che non andavano rimossi, appendicectomie che si potevano evitare, asportazioni chirurgiche delle tonsille che era forse meglio non fare. Nelle strutture private non sempre si preferisce la soluzione migliore. Tra curare con dei farmaci o ricorrere a un intervento chirurgico, in caso di dubbio, si opta sempre per la seconda soluzione, così la clinica guadagna più soldi.

Ci sono stati casi di persone operate di ernia iatale, a cui era stato fatto credere che con tale intervento chirurgico avrebbero risolto tutti i loro problemi di dispepsia, per poi scoprire che era stato tutto inutile. Non crediamo che si arrivi al punto di operare persone sane (anche se è già successo), ma esistono tante situazioni intermedie, in cui si è indecisi tra l’una e l’altra cosa. Nelle cliniche private la maggior parte di questi pazienti finirebbe in sala operatoria.

Il pericolo più grave è, comunque, quello di truffa ai danni del Servizio Nazionale attraverso l’uso improprio dei codici delle pratiche terapeutiche. In altre parole, si possono far figurare interventi più costosi, al posto di prestazione di scarso rilievo. Già si sono verificati casi del genere. Il 26/1/2007 “Il Sole” 24 ore riportò la notizia di uno scandalo del genere avvenuto in Lombardia.

 

Molte cliniche hanno delle tariffe molto alte, spesso le operazioni chirurgiche sono pagate a peso d’oro, soprattutto se a pagare è lo stato.

Il personale spesso non è pagato adeguatamente. Accanto a grossi nomi pagati con stipendi d’oro, spesso troviamo medici, ma soprattutto infermieri e inservienti, che percepiscono retribuzioni molto modeste.

– I chirurghi e i medici non sempre sono all’altezza della situazione. I più bravi, se ne hanno la possibilità, passano in quelli pubblici dove sono pagati meglio e hanno condizioni di lavoro migliori.

– Gli orari di lavoro del personale, di solito sono più lunghi e stressanti di quelli degli ospedali pubblici.

– Non di rado si fanno durare di più le degenze, in modo da chiedere più soldi alle ASL.

 

   Perché sono la soluzione migliore. Nonostante questi difetti gli ospedali convenzionati sono ritenuti la soluzione migliore e l’unica possibilità se si vuole far fronte per il futuro ai costi crescenti della spesa sanitaria (i privati, infatti, sono in grado di ridurre gli sprechi e di massimizzare l’efficienza della struttura, anche perché non sono legati da procedure burocratiche e gare di appalto), sempre che si tengano presenti alcune linee guide. Accenniamo a quelle principali:

I costi delle prestazioni mediche devono essere contrattati con le compagnie di assicurazione sanitarie. In effetti, se una clinica privata chiede troppo, ad esempio, per un intervento chirurgico al menisco, si può mandare il paziente in un’altra struttura. Il paziente, però, deve avere la possibilità di integrare tale quota e scegliere la soluzione che ritiene più idonea.

Il controllo della qualità dei servizi non deve essere lasciato soltanto al paziente, a cui spetta la scelta della clinica in cui farsi ricoverare, ma ci deve essere anche la sorveglianza delle compagnie di assicurazioni. In effetti le strutture ospedaliere convenzionate devono essere aperte a tre tipi di controlli: ispettori provenienti dal Ministero della Sanità, ispettore delle ASL e ispettori delle compagnie di assicurazione sanitarie. Periodicamente ci deve essere qualcuno che visita queste strutture e redige una relazione.

 

– Le cartelle dei pazienti e i relativi test medici effettuati devono essere a disposizione dei medici di controllo, in modo che possano rendersi conto se sono state eseguite terapie inutili.

 

– La retribuzione del personale deve essere stabilita a livello nazionale con una contrattazione sindacale. Ogni tre anni si firma un contratto in cui si stabilisce orari di lavoro, stipendi, ferie e altre norme.

 

– Per evitare cure inutili o truffe attraverso ricoveri inesistenti ecc., basta una misura semplicissima. Il numero di posti letti delle strutture convenzionate accreditate deve essere fissato secondo quote fisse, in rapporto al numero di abitanti. Ad esempio, in una regione ci possono essere al massimo 1.000 posti letti in ginecologia, oltre non si deve concedere nuove licenze. Il motivo è semplice, se gli ospedali convenzionati hanno abbastanza pazienti non avranno bisogno di ricorrere a falsi ricoveri per sopravvivere. Se al contrario si dà la licenza a tutti quelli che la richiedono, molti ricorreranno, se non hanno clienti, a questi espedienti per sopravvivere.

 

La cosa fondamentale da tenere presente, se si decidesse di seguire una strada simile, è quella di favorire la massima concorrenza. Sul mercato, quindi, non dovrebbero restare solo 2 o 3 società, ma diverse. La maggiore garanzia per ottenere servizi migliori e prezzi più bassi è nelle possibilità di scelta del paziente. Se si riesce a tenere abbastanza ampia e varia l’offerta, ci sarà libero mercato e vantaggi per tutti. Al contrario, se le società che si occupano di assistenza ospedaliera riusciranno a formare dei cartelli, pagheremo i loro servizi più di quanto costano oggi.

 

L’ultima precauzione da prendere è non eliminare del tutto le strutture ospedaliere pubbliche. In effetti, se in una provincia restano 2 – 3 ospedali pubblici, non è una spesa particolarmente elevata per i contribuenti. In questo modo però si costituisce un’alternativa alle strutture convenzionate. Se si privatizza tutto il settore, infatti, non è difficile che le società che gestiscono queste strutture in futuro si mettano d’accordo e formino dei cartelli, portando le tariffe alle stelle. In effetti, gli ospedali storici, le grosse strutture che esistono già da anni, andrebbero mantenute pubbliche, sia pure studiando un sistema di gestione che li renda più indipendente dai politici. Le strutture ospedaliere piccole, quelle di provincia potrebbero passare ai privati che opererebbero in regime convenzionato.

    I controlli di qualità. È una strada obbligatoria da seguire sia che si sceglie l’assistenza ospedaliera convenzionata, che quella pubblica. All’estero si sono da tempo introdotti dei sistemi di controllo di qualità delle prestazioni sanitarie. Il più efficace di questo è quello di richiamare i pazienti a un mese dopo le dimissioni dall’ospedale. Lo scopo è sapere se sono guariti perfettamente, se hanno avuto dei problemi, se la diagnosi era sbagliata e sono stati costretti a rivolgersi ad altre strutture ospedaliere ecc..

“In Gran Bretagna, nel 2005 dopo lo scandalo di Bristol, furono messi online tutti i dati delle cardiochirurgie britanniche e in quattro anni la mortalità per la chirurgia coronarica si è ridotta del 21% e di un terzo per gli interventi di sostituzione della valvola aortica. È la prova che la trasparenza paga” rivista Focus (aprile 2010). Oggi gli abitanti di Londra che devono sottoporsi a un intervento chirurgico entrano nel sito del servizio sanitario e il motore di ricerca individua in quali ospedali viene effettuato, consentendo loro di confrontarli fra di loro, ad esempio dicono in qualche struttura i risultati sono migliori e i tassi di mortalità inferiori. Non esiste tale trasparenza in Italia dove non di rado le cartelle cliniche dei pazienti rimangono riservate e talvolta si denuncia per diffamazione i pazienti se divulgano i propri dati.

Chiaramente il primo controllore della qualità resta il paziente stesso, che deve avere libertà di scegliere la struttura sanitaria a cui rivolgersi. A tale scopo deve avere il pieno accesso alla sua cartella clinica, di cui può chiedere una copia in qualsiasi momento. In secondo luogo, il paziente deve avere la possibilità di nominare a sue spese un medico legale, ossia un esperto suo rappresentante, che può recarsi in ospedale, visionare la cartella clinica e parlare con i medici.

 

Le altre agenzie addette al controllo delle prestazioni sanitarie devono essere: 1) Le assicurazioni sanitarie, che devono avere dei medici che quotidianamente passano gli ospedali e parlano con i loro assistiti. L’azienda ospedaliera perciò non ha di fronte solo il paziente spesso ignorante e indifeso, ma la sua assicurazione. 2) Il Ministero della Salute o le Regioni, che possono inviare periodicamente degli ispettori a controllare che l’ospedale non sia sporco, che il cibo sia di qualità, dei macchinari funzionino e così via.

Le sanzioni devono essere severe in modo da scoraggiare eventuali abusi o truffe.

 

LE AZIENDE OSPEDALIERE PRIVATE

Gli ospedali completamente privati, non convenzionati, in molti paesi come Italia occupano una posizione marginale, nel senso che solo poche persone si possono permettere un ricovero nelle loro corsie. Si dovrebbero, invece, cercare di allargare la loro fascia di utenza, in modo da permettere l’accesso ai loro servizi anche a molte persone della classe media.

Come si può realizzare ciò senza aggravare la spesa pubblica? In modo molto semplice: integrando le quote. Se una persona, ad esempio, deve essere operata di ernia, può scegliere di farlo in una struttura privata. In questo caso l’ente mutualistico mette a disposizione del paziente la stessa somma che occorrerebbe se questo paziente fosse operato in una struttura pubblica, la differenza ce la mette il paziente. Al servizio sanitario nazionale il servizio verrebbe costare la stessa cifra, col vantaggio di non intasare gli ospedali pubblici.

Bisogna stare attenti, però, il sistema si presenta a truffe e ad abusi. Con la complicità dei medici si può fingere il ricovero in una struttura privata e sostenere che si sono ricevute delle cure. Ci devono essere dei controlli e la clinica privata deve emettere sempre fattura.

 

FORME ALTERNATIVE AL RICOVERO. Sempre per far fronte ai crescenti costi della spesa sanitaria si dovrebbero introdurre, sull’esempio di molti paesi avanzati, delle forme di assistenza alternative questo perché i ricoveri ospedalieri sono estremamente costosi (un paziente ricoverato costa più di 700 – 800 euro al giorno).

Assistenza domiciliare. Per i malati cronici bisogna organizzare un servizio a domicilio, cioè un’ambulanza attrezzata con medico a bordo, che passa periodicamente per casa per controllare le condizioni mediche del paziente. Abbiamo visto negli Stati Uniti casi di soggetti cardiopatici che venivano seguiti così. Ogni settimana passava l’ambulanza con il cardiologo, che controllava le condizioni del paziente in modo da modificare la terapia, se necessario, o predisporre il ricovero nel caso le sue condizioni fossero peggiorate.

Può sembrare un sistema molto costoso, ma in realtà l’ospedale, non ricoverando queste persone, risparmiava moltissimi soldi e in più l’ammalato se ne stava casa sua, con un notevole miglioramento della qualità di vita. Nel caso non si hanno le ambulanze o le risorse per l’assistenza domiciliare, si possono stabilire dei giorni in cui il malato cronico periodicamente è visitato ambulatorialmente nell’ospedale. Si può organizzare un servizio di mini bus che passa per le case e preleva i vari pazienti. La cosa importante è predisporre tutto in modo che il paziente sia trattenuto il meno possibile.

Ci sono, poi, le vie telematiche, che si stanno già sperimentando in molte parti, cioè il paziente si tiene in contatto con l’ospedale via internet o via telefono.

 

Day hospital. Da noi già esiste e può essere usato in caso di piccoli interventi chirurgici o per eseguire test diagnostici. Elimina i costi derivanti da giornate di degenza inutili, conseguenza di tempi burocratici o peggio tecnici, settimane per completare banalissimi esami di routine, giorni e giorni di pre o postoperatori, gestiti da medici che dimenticano che per quelle giornate lo stato paga una retta di degenza con la quale il paziente potrebbe assicurarsi una permanenza in hotel a 7 stelle. Bisogna stare attenti, però, agli abusi. Non si deve ricoverare in day hospital persone soltanto per fare banali esami del sangue e non pagare il ticket.

 

Assistenza ambulatoriale. Tutti gli ospedali dovrebbero avere degli ambulatori dove visitare i pazienti meno gravi (e nessun specialista interno deve potersi rifiutare). Potrebbero essere attrezzati anche per svolgere esami diagnostici, test e piccoli interventi, in questo modo si potrebbero limitare al massimo i ricoveri. I pazienti potrebbero seguire gli stessi trattamenti come fossero internati. Si eviterebbe così costosissime degenze in ospedale.

 

L’OSPEDALE COME UNA FABBRICA

A Seattle, negli Stati Uniti è stato condotto nel 2001 un interessantissimo esperimento: applicare le regole dell’industria automobilistica all’organizzazione dell’ospedale. Come è possibile – si era chiesto Gary Kaplan ideatore del singolare esperimento, nonché amministratore di un ospedale – che l’industria automobilistica crei prodotti praticamente quasi senza difetti, senza mai qualcosa di più, né qualcosa di meno e che sia sempre lo stesso per migliaia di volte al giorno, tutti i giorni dell’anno?”

Così il “Virginia Mason Medical Center” spese più di un milione e mezzo di dollari per mandare in Giappone i suoi dipendenti a osservare l’organizzazione e la funzionalità di una famosa casa automobilistica, la Toyota. Lo scopo era quello di osservare come i loro colleghi del settore automobilistico eliminavano i difetti di costruzione o di organizzazione, per poi tornare a Seattle e applicare le stesse regole nell’organizzazione dell’ospedale.

Molti gli insegnamenti che emersero da questi scambi di esperienza. Ad esempio, gli organizzatori notarono che nelle fabbriche automobilistiche le procedure erano sempre le stesse e tutti facevano di tutto, perché restassero così, perché ogni deviazione dal solito percorso faceva perdere tempo ed era causa di errori. Nelle sale operatorie dell’ospedale oggetto dell’esperimento, ad es., le procedure erano sempre diverse, ma con più rischio per gli ammalati e maggiori costi.

Dopo aver visto come facevano quelli dell’automobile, gli ospedalieri fecero questo esperimento. Misero in fila tutti gli strumenti che i chirurghi usavano per fare una protesi all’anca, con una targhetta che indicava il costo di ciascun pezzo. Vederli tutti in fila servì; i chirurghi non s’erano mai resi conto di utilizzare tanti strumenti per una sola operazione. Ragionandoci su arrivarono a ridurli del 60% senza che ciò influisse minimamente sull’esito dell’intervento chirurgico. In questo modo, ogni mese in quell’ospedale si sterilizzarono 40.000 ferri in meno, con un risparmio di più di $ 10 milioni.

Un’altra cosa che gli americani notarono, applicando le regole dell’industria automobilistica all’organizzazione dell’ospedale fu che a Seattle il paziente non era trattato come un cliente. Ad esempio, si misero dalla parte dei pazienti e calcolarono quanto ci voleva per andare dall’accettazione alla sala d’attesa prima, e all’ambulatorio poi, dove sarebbero stati visitati e alla sala di infusione per chi doveva fare chemioterapia. Venne fuori che a Seattle un ammalato ogni volta faceva 250 m., se poi doveva andare anche alla visita erano 400 m.. Prima nessuno aveva una minima idea di quanto dovesse camminare un paziente per sottoporsi ad esami diagnostici.

Un’altra cosa che essi appresero era il metodo per migliorarsi. Quelli che fanno le automobili in Giappone sono abituati a chiedersi sempre: “Perché faccio così questo lavoro? Come è meglio che lo organizzi? Cosa potrei fare per ottenere quest’anno risultati migliori dell’anno scorso?”

Capirono che dovevano fare la stessa cosa non solo gli amministratori degli ospedali, ma anche medici e infermieri.

Certo gli uomini, non sono macchine, né gli ammalati possono essere trattati come pezzi da assemblare, ma l’esperimento ha indicato una strada da seguire, che speriamo un domani trovi un seguito: bisogna estendere i principi dell’organizzazione industriale anche agli ospedali, per renderli più efficienti e razionali, ma soprattutto per contenere i costi in modo che in futuro non diventino una spesa insostenibile per la comunità.

L’ASSISTENZA AMBULATORIALE

Gli ambulatori pubblici, i cosiddetti poliambulatori, sono strutture a disposizione del pubblico in cui si eseguono visite specialistiche, analisi cliniche ed esami radiologici. La loro utilità è indubbia perché soddisfano le esigenze di una gran parte della popolazione evitando, come succedeva spesso nel passato, che questa pesasse eccessivamente sulle strutture ospedaliere. In fin dei conti ogni paziente che riesce a risolvere i suoi problemi ricorrendo unicamente a visite specialistiche o ad esami ambulatoriali, cioè restando a casa, è un paziente che non va in ospedale, dove costa allo Stato cifre considerevoli per ogni giornata di degenza.

I sistemi possibili sono due: strutture pubbliche e strutture convenzionate.

 

Strutture pubbliche. In questo caso le strutture sono completamente pubbliche e il personale, sia medico che paramedico, vengono pagati a stipendio. Questa soluzione comporta le solite inefficienze sperimentate negli ospedali pubblici: assunzioni clientelari, sprechi di risorse, bassa produttività, scarsa affezione al lavoro che spesso si traduce in qualità dei servizi scadente ecc.. In fondo ai medici conviene fare il numero minimo possibile di visite al giorno, tanto lo stipendio è lo stesso. E allora si verifica talvolta che per avere una visita specialistica dell’ortopedico occorre aspettare tre mesi. In effetti mancano assolutamente stimoli a una maggiore produttività e spesso qualsiasi controllo della qualità dei servizi.

 

Strutture convenzionate. La differenza principale con il sistema precedente è che, pur trattandosi di strutture pubbliche, i medici specialisti sono pagati a prestazione e non hanno uno stipendio fisso. I vantaggi sono molteplici.

Quando i medici sono assunti come impiegati statali spesso sono frettolosi e superficiali nelle visite mediche, si assentano con facilità, colgono tutte le occasioni per andare a congressi e a convegni anche inutili, e non di rado cercano di attirare i pazienti nei loro studi privati (se è permessa la doppia professione). Infine, cercano di limitare al massimo il numero delle visite da effettuare tutti i giorni presso gli ambulatori pubblici (è uno dei motivi per cui spesso le attese sono lunghe). In parole povere, viene a mancare loro qualsiasi incentivazione a una maggiore produttività.

Nel caso invece, invece, sono pagati a prestazione, staranno molto attenti a trattare bene i clienti, a fare bene il loro lavoro e a incrementare i clienti, perché se nessuno va a farsi visitare, non guadagnano niente. Inoltre, saranno motivati ad aggiornarsi e a fare precise diagnosi ai loro pazienti, perché solo così incrementeranno il loro giro di affari.

I medici sanno benissimo che in questo settore, il passa parola funziona meglio di qualsiasi pubblicità. Un medico bravo, rinomato, farà molte più visite di uno poco professionale, quindi guadagnerà molto di più. Chiaramente se si sceglie questa soluzione bisogna favorire assolutamente la concorrenza, cioè in ogni ramo l’ambulatorio deve avere più specialisti in modo che gli assistiti possano scegliere da chi farsi visitare.

 

Incompatibilità tra pubblico e privato. I medici che fanno visite in queste strutture non possono lavorare contemporaneamente in strutture private. Il motivo è noto: le visite in ambulatorio potrebbero diventare frettolose e superficiali, con l’invito, a volte senza neanche tanti giri di parole, ai pazienti, che possono permetterselo, nei propri studi privati. In passato non di rado gli ambulatori specialistici pubblici sono diventati per il medico un ottimo metodo per procurarsi nuovi clienti.

 

In ultimo, è bene prevedere dei ticket per queste prestazioni, come si fa oggi, ma essi non devono essere troppo alti. Ad esempio, non è giusto che la povera gente paghi un ticket di 30 euro per una visita specialistica. Per le fasce più deboli, poi, dovrebbe essere prevista l’esenzione.

Stesso discorso deve farsi per i laboratori di analisi, la radiologia e gli altri servizi sanitari, che vanno organizzati tenendo presente la produttività. Se, ad esempio, le richieste dell’utenza sono poche, bisogna ridurre il numero del personale, che va distribuito altrove. In questo modo tutti saranno attenti a fare con professionalità il proprio lavoro, perché sanno che non è più come una volta: se il laboratorio non ha clienti, viene chiuso.

 

L’ ASSISTENZA FARMACEUTICA

Le posizioni in questo caso sono due: c’è chi sostiene che l’assistenza farmaceutica deve essere a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale e chi pensa che i farmaci debbano essere pagati interamente o in gran parte dagli utenti, con l’introduzione di ticket.

Farmaci gratuiti. In Italia abbiamo già sperimentato nel passato gli svantaggi di questa soluzione. Per primo, è inevitabile che si creino sprechi e abusi. L’esperienza ci insegna che se non li pagano, i pazienti tendono a fare incetta di farmaci. Da noi, quando erano gratis, c’era gente che usciva dalla farmacia con le borse piene di medicinali. Moltissimi prendevano i farmaci solo i primi giorni, poi appena i sintomi si riducevano, li lasciavano nel cassetto. Il risultato era che tanta gente a casa ne aveva gli armadietti pieni. Questo spreco era favorito dal fatto che i medici, per compiacere le case farmaceutiche, erano solite fare lunghe ricette. Per questo motivo, se i farmaci sono completamente gratuiti possono diventare una voce di spesa pesante per il servizio sanitario.

Per terzo, quando i farmaci sono completamente gratuiti è facile che si verificano truffe ai danni delle ASL. Da noi ne sono state scoperte tantissime dalle Guardie di Finanza, medici e farmacisti corrotti che intascavano i soldi di prescrizione mediche fatte con ricette false, spesso intestate a pazienti del tutto ignari o deceduti.

Per quarto, nei paesi in cui sono a totale carico dello Stato i prezzi dei medicinali sono sensibilmente più alti che negli altri che sono a pagamento. In Italia nel passato le case farmaceutiche un po’ trattando, un po’ corrompendo, riuscivano quasi sempre a spuntare prezzi nettamente superiori a quelli con cui gli stessi farmaci venivano venduti all’estero. È uno dei motivi per cui, ancora oggi, da noi sono più cari che in altri paesi.

 

Il ticket. L’opzione contraria, quella dei medicinali completamente a carico dell’utente, invece, presenta il grave inconveniente che la spesa farmaceutica diventa un carico insopportabile per le famiglie, soprattutto per le fasce più deboli, per i malati cronici e per gli anziani. Per tutti questi motivi, la soluzione migliore è una via di mezzo, cioè il pagamento di un ticket che va dal 20 al 40% del prezzo del farmaco. In questo modo, si tiene a bada la spesa farmaceutica, ma non si grava troppo sulle famiglie e nello stesso tempo diventa più difficile truffare le ASL. Chiaramente, bisogna fare distinzione tra i farmaci salvavita e gli integratori alimentari o i cosmetici. Il contributo dello Stato deve essere dato solo per i farmaci che servono per curare gravi malattie.

Per i malati cronici lo specialista deve stabilire il numero di confezioni che il paziente può avere ogni mese (che devono essere comprati sempre alla stessa farmacia, a scelta dell’assistito, per ridurre i rischi di truffe).

 

L’esenzione dal ticket. In questo caso le possibilità sono due: dare l’esenzione a determinate categorie, come gli anziani o i bambini, oppure essere subordinata al reddito. È migliore la seconda soluzione perché non è giusto che un pensionato con un reddito mensile di più di 2.000 € non paghi i farmaci solo perché ha più di 65 anni, mentre l’operaio che prende € 1.000 al mese paghi tutto.

Per secondo, chiunque ha un anziano in famiglia, quando è malato si fa segnare le medicine a carico di questi, per non pagarle. Per terzo, gli sprechi sono più limitati, ma si verificano lo stesso. Capita che il giovane impiegato si limiti nell’uso di farmaci anche quando è davvero malato, mentre l’anziano a casa ha gli armadietti pieni, tanto non li paga. Per questo motivo, le esenzioni devono essere concesse solo in base al reddito, cioè riservate alle fasce sociali più deboli o ai disoccupati. Inoltre bisogna vigilare affinché questi pazienti non sprechino i medicinali.

 

Truffe. Non solo nel nostro paese spesso si verificano truffe ai danni del servizio sanitario nazionale: medici e farmacisti che si mettono d’accordo. I primi scrivono ricette a pazienti ignari che sono perfettamente sani, i secondi incassano i soldi e poi dividono a metà. I farmacisti, poi, talvolta attaccano fustelle su ricette mediche su cui era prescritto un solo farmaco.

Un buon servizio sanitario nazionale deve essere organizzato in modo da evitare questi inconvenienti. Una soluzione è quella inviare alla fine dell’anno a ogni assistito l’elenco dei farmaci che ha consumato durante l’anno, obbligandolo a controllare perché dovrà pagare una piccolo ticket del 2%. Un altro sistema è che non può ritirare medicinale in farmacia senza la tessera sanitaria elettronica, documento che deve portare sempre dietro perché senza, non può neanche effettuare visite mediche o essere ricoverato in ospedale. I malati cronici, invece, devono essere obbligati a comprare i farmaci sempre dalla stessa farmacia, a loro scelta, in modo da controllare il numero di confezioni a cui ha diritto ogni anno.

Infine si possono predisporre dei controlli informatici, in altre parole dai dati che affluiscono alla ASL devono emergere eventuali anomalie, come farmaci ginecologi prescritti a pazienti uomini, medicine per diabetici segnate ai bambini, un paziente che consuma troppi antibiotici ecc.. Questi allarmi devono fa scattare dei controlli.

 

LE AZIENDE FARMACEUTICHE

Uno dei problemi più eminenti dell’assistenza sanitaria è quello dei farmaci: in molti paesi se ne consumano troppi e spesso sono inutili o inefficaci, in altri girano moltissimi farmaci falsi. Quest’ultimo caso può essere risolto solo con controlli continui e con sanzioni severe, chi è sorpreso a venderli deve finire in prigione.

In Italia, ma è lo stesso in molti paesi, i medici, specialmente quelli di base, per le novità in campo farmaceutico si affidano alle notizie degli informatori scientifici (che in effetti sono dei rappresentanti che passano per gli studi medici), ma questi ultimi fanno più marketing che informazione. I politici spesso dimenticano è che le aziende farmaceutiche non sono enti di beneficenza, ma imprese commerciali che funzionano in base alla logica del massimo profitto e il cui scopo non è la soddisfazione dei bisogni sanitari dell’umanità, ma quello di incrementare gli utili. Ogni anno, infatti, i farmaci veramente innovativi che vengono introdotti sul mercato sono veramente pochi, perché l’industria farmaceutica spende più per pubblicità che in ricerca. Spesso, inoltre, si tratta solo di remake di vecchi farmaci, a cui viene cambiata leggermente la formula, il nome e la confezione.

Il maggior numero di scoperte in campo farmaceutico, inoltre, sono dovute proprio alle aziende pubbliche e non a quelle private. Marcia Angell, per anni direttrice direttore di una prestigiosa rivista medica ha dichiarato a un giornalista di Focus “La ricerca medica finanziata col denaro pubblico, non dall’industria, è di gran lunga la maggior fonte di farmaci innovativi”.

Il mercato per tutti i farmaci viene oggi creato con un efficace marketing ribattezzato desease mongering, che significa vendita delle malattie, che usa tre strategie: 1) Allargare il mercato dei farmaci esistenti. 2) Medicalizzare i normali processi dell’esistenza 3) Trasformare i fattori di rischio in malattie.

L’ipertensione è un esempio della prima strategia. Fino a poco tempo si considerava iperteso chi aveva una pressione superiore a 140 – 90. Poi la “american society of Hypertension” riscrisse la definizione inventando la pre-ipertensione che inizierebbe da 120 – 80. Il New York Time, poi, scoprì che i produttori di farmaci aveva unto gli ingranaggi: dei 7 scopritori della nuova patologia, 6 prendevano denaro dalle aziende interessate.

 

La seconda strategia è la medicalizzazione delle fasi naturali dell’esistenza. È normale che, dopo una certa età, maschi e femmine abbiano meno interesse per il sesso, ma nel 1997, diciannove urologi riuniti a congresso, a spese delle aziende farmaceutiche, hanno inventato la disfunzione sessuale femminile. In pratica chi aveva un desiderio ridotto o difficoltà a raggiungere l’orgasmo, soffriva di questa nuova sindrome.

 

Il colesterolo è, invece, un esempio di come si può trasformare un fattore di rischio in malattia. Negli anni 90 gli esperti ritenevano normale un colesterolo non superiore a 220. Nel 2001 un altro comitato di esperti, per un terzo dei quali finanziati dei produttori di statine (molecole che riducono il colesterolo) ha ritoccato il tasso a 200, aumentando il mercato a 36 milioni di pazienti solo negli Stati Uniti. Altro ritocco nel 2004, il comitato questa volta era di 9 esperti, 8 dei quali pagati dell’industria delle statine. Risultato gli americani da trattare lievitavano a 40 milioni.

Valutazione dell’efficacia e della sicurezza dei nuovi farmaci. Oggi nella sperimentazione spesso, invece di confrontare il farmaco nuovo con un altro già presente sul mercato, per capire se funziona meglio, lo si confronta con il placebo, ossia con pillole di zucchero. E così può essere approvato un farmaco meno sicuro e meno attivo di quelli già esistenti. In Italia, inoltre, sono tenuti segreti i dati farmacologici, tossicologici e gli studi clinici in base ai quali è stato approvato il farmaco. In effetti, tutta la documentazione è fornita dall’azienda stessa che è interessata a far approvare il farmaco.

La sperimentazione sui malati, al contrario, dovrebbe essere fatta in strutture ospedaliere da un organismo indipendente finanziato dal Ministero della salute. Inoltre, bisognerebbe introdurre una legge simile a quella in vigore in India che riconosce solo i brevetti sui medicinali veramente innovativi e rifiuta i miglioramenti insignificanti apportati sulle molecole già in commercio. Come sarebbe a dire che non basta rifare il maquillage a un farmaco per farlo diventare un nuovo prodotto commerciale.

Gli informatori scientifici. L’altro grosso problema è l’aggiornamento dei medici sui nuovi ritrovati farmaceutici. In Italia è affidato a 30 mila informatori scientifici che ogni giorno visitano 8 – 10 medici. Il loro compito dovrebbe essere quello di informare nonché di invitare il medico a essere attento e critico, purtroppo la loro è piuttosto una operazione di marketing, diretta ad aumentare le vendite e a soffiare una fetta del mercato ai diretti concorrenti.

 

Il sistema funziona così. Gli informatori scientifici passano per gli studi dei medici di base (o per gli ospedali e gli ambulatori pubblici, se questi lavorano in strutture pubbliche), per presentare le novità. Dato che la concorrenza è forte, spesso l’opera di convincimento è fatta con metodi che sfiorano l’illegalità. La maggioranza dei rappresentanti, infatti, regala gadget di ogni tipo: penne, portachiavi, fermacarte, piccoli oggetti di arredo ecc., quando non arriva a offrire vacanze premio, camuffate da finti congressi, sconti su acquisti di attrezzature sanitarie costose persino soggiorni gratuiti in rinomate località. Il 21/2/2007 “Il Corriere della Sera” riportò la notizia dell’ultima edizione delle “giornate pediatriche invernali” conclusasi a Madonna di Campiglio. Non solo erano state pagate interamente dalle aziende, ma vi avevano partecipato ben 2.000 persone, di cui 1/4 medici e 3/4 familiari di questi ultimi.

 

Il fenomeno dei congressi di lusso sulle navi o sulle nevi, è arrivato al punto che una parte dei medici si è dichiarata contro ogni forma di sponsorizzazione e oggi i congressi se li paga da sé. “Ma non c’è da illudersi – ha dichiarato un pediatra di Firenze al giornalista dello stesso giornale – spesso cambia solo il sistema, non la sostanza. Prima le aziende pagavano direttamente le iscrizioni ai convegni, adesso lo fanno attraverso le agenzie”. Molti medici sono così abituati a questi regali, che a volte quando il rappresentante esce dallo studio, esclamano: “Che spilorcio, non mi ha portato in regalo nemmeno una penna!”

Il risultato è che, a volte, i medici scrivono le ricette non solo cercando di favorire gli amici (se mai in commercio esiste un altro farmaco leggermente migliore e a un prezzo più basso), ma spesso le loro ricette sono chilometriche. È uno dei motivi principali per cui in Italia c’è uno spreco di farmaci e si prescrivono tante cose inutili. Questo problema era, ovviamente, molto più marcato quando i farmaci erano a totale carico delle ASL.

 

Per terzo, quello degli informatori scientifici è un sistema molto costoso per le case farmaceutiche che, devono tenere personale che gira continuamente sul territorio, comprare in continuazione gadget, fare regalie e ungere ingranaggi … tutti costi che, poi, scaricano sui prezzi. È un altro dei motivi principali per cui in certi paesi i farmaci sono più costosi che all’estero. Non sono nemmeno rari i casi di vera e propria corruzione, ad esempio il medico fa comprare all’ospedale certi macchinari o prescrive per anni gli stessi farmaci, in cambio di contropartite di vario genere. A detta di molti è tutto il sistema è sbagliato. Non si dovrebbe permettere agli informatori scientifici di passare per gli studi medici, in quanto più che informare sui nuovi farmaci, fanno clientelismo.

 

Le proposte. Una potrebbe essere organizzare degli incontri periodici presso le ASL o gli ospedali tra le case farmaceutiche e i medici, a cui questi ultimi sono obbligati di partecipare. Perciò niente informatori scientifici che passano per gli uffici. In questi convegni ogni casa farmaceutica presenta le sue novità, poi il medico fra le sue deduzioni.

Un’alternativa potrebbe essere quella di lasciare l’iniziativa di aggiornare i medici sulle novità farmaceutiche ai primari degli ospedali, sempre in incontri periodici da tenere presso gli ospedali.

Ma la cosa più importante è vietare in modo assoluto a tutte le case farmaceutiche di fare regali costosi o organizzare congressi gratuiti per i medici e i loro familiari in note località turistiche. L’unica cosa che le case farmaceutiche devono poter regalare è un campione dei propri farmaci.

 

LE MISURE ANTITRUFFE

    Nel nostro paese le truffe ai danni delle aziende sanitarie sono abbastanza comuni. Quasi ogni mese leggiamo sui giornali o sentiamo dalla televisione, che ne è stata scoperta qualcuna dalle Guardie di Finanza. Un sistema sanitario bene organizzato deve scongiurare anche questo pericolo. I sistemi sono molti, ma una loro trattazione approfondita ci porterebbe troppo lontano dal nostro tema, perciò ci limiteremo a dare delle indicazioni pratiche.

Per prima cosa, occorre introdurre il tesserino sanitario elettronico da distribuire a tutti gli utenti. È importante per due motivi: uno di carattere medico. Lo specialista o il medico del pronto soccorso, prima di visitare il paziente, può avere in tempo reale tutte le notizie di cui ha bisogno sul paziente. Ad esempio, saprà che gruppo sanguigno ha, se ha delle allergie o le malattie di cui ha sofferto negli ultimi tempi.

 

In secondo luogo, è importante per motivi amministrativi. Ogni volta che l’assistito riceve dei trattamenti medici, i dati vengono inseriti nel computer e inviati alla compagnia di assicurazione. In questo modo non è facile organizzare truffe perché per farsi pagare una qualsiasi prestazione c’è bisogno del tesserino elettronico del paziente, che ovviamente terrà sempre con sé, perché senza di esso non può recarsi neanche dal medico farsi prescrivere i farmaci.

La seconda forma di controllo è, ovviamente, la fattura o l’impegnativa, in cui sono descritti i trattamenti terapeutici che il paziente ha ricevuto, la quale sarà ogni volta controllata e firmata dal paziente stesso.

Un ulteriore controllo sarà costituito da un report che ogni paziente riceverà a casa ogni anno. In questo documento saranno riportate tutte le prestazioni che ha ricevuto nei 12 mesi precedenti a partire dai medicinali, alle visite specialistiche presso le ASl e ai ricoveri ospedalieri. In questo modo il primo controllore della spesa sanitaria diventa il paziente stesso. Se, ad esempio, si rende conto che gli sono state segnate prestazioni di cui non ha mai goduto o medicinali che non ha mai preso, è obbligato a segnalarlo al suo ente assicuratore, che svolgerà indagini a proposito. Accadrà così che il signor X scoprirà che risultino a suo carico farmaci molto costosi, che non ha mai preso, o che è stato a farsi visitare in una clinica convenzionata, senza che sia vero.

 

Per costringere gli utenti a un controllo accurato, bisogna prevedere un ticket aggiuntivo del 2% su queste stesse (fino a un massimo di 300 euro annuali). In questo modo moltissime delle truffe che oggi sono scoperte dai carabinieri, sarebbero segnalate dagli stessi utenti. Non bisogna dimenticare, infatti, che l’introduzione di un ticket sulle prestazioni mediche è uno dei migliori sistemi per scoraggiare truffe ai danni dell’azienda sanitaria.

 

I SERVIZI di EMERGENZA

Il servizi di emergenza organizzati in modo funzionale prevedono una centrale d’ascolto, che coordina una diecina di postazioni territoriali, un servizio di autoambulanze e dei presidi di pronto soccorso.

1) Il compito della centrale unica d’ascolto è ricevere le problematiche sanitarie dell’utenza e dare una soluzione appropriata e corretta. Nei casi più semplici si limita a dare dei consigli telefonici, quando le cose sono più serie provvede a inviare un medico, se, invece, si tratta di un caso d’emergenza, come un incidente o un malore per cui necessita il ricovero, manda subito un’autoambulanza con medico a bordo. La centrale d’ascolto, chiaramente, non deve essere accessibile al pubblico a causa dell’intensità e della delicatezza del lavoro svolto.

 

2) Il servizio autoambulanze. Entra in funzione quando un paziente chiama per un grave malore, un incidente stradale o sul lavoro, in situazioni che richiedono un ricovero d’urgenza o in caso di pericolo di vita. Per i casi più gravi o per servire luoghi remoti, lontani da strutture ospedaliere, deve essere previsto anche un servizio di elio ambulanze.

Anche qui la scelta è tra strutture completamente pubbliche, con personale dipendente delle ASL e mezzi di trasporto forniti dalle aziende sanitarie; e società convenzionate. In questo ultimo caso il servizio è offerto da società che provvedono a tutto, dai medici alle autoambulanze, prendendo per ogni paziente trasportato una quota, che varia a seconda della distanza.

Per gli stessi motivi che abbiamo visto nei casi precedenti, a nostro parere il servizio di emergenza 118 dovrebbe essere svolto da società convenzionate.

Le cose andrebbero organizzate così: chiunque è interessato a offrire un servizio di ambulanza, ne fa domanda alla ASL, che accerta l’idoneità della struttura. Ad esempio, verifica che le autoambulanze siano a norma di legge, che il personale sanitario abbia i titoli di studio e l’esperienza per svolgere tali funzioni e così via. Non solo, ma le Asl sono obbligate anche a controllare che il personale delle ambulanze, sia medico che paramedico, sia pagato secondo il contratto nazionale. Non deve essere permesso che persone lavorino per pochi soldi per queste società, spacciate per volontari. In altre parole il personale deve essere professionale e regolarmente retribuito.

Una volta che l’ASL ha abilitato le varie società, in concorrenza tra di loro, sarà l’utente, quando chiama a dire da quale società vuole essere soccorso (ad esempio, dirà: “Vorrei un’autoambulanza della croce gialla”). Se non la specifica, si fa a turno. In questo modo si evitano favoritismi, clientelismi e corruzione.

Anche qui per contenere i costi ed evitare abusi o addirittura falsi soccorsi (persone che con un piccolo mal di pancia si fanno portare in ospedale, per far guadagnare qualche soldo ai propri amici) sarebbe bene prevedere un ticket per l’utente.

 

3) Presidi di pronto soccorso. Nelle cittadine in cui non ci sono ospedali bisogna attrezzare degli ambulatori di pronto soccorso, completi di apparecchi per soccorrere gli infatuarti, per fare medicazioni, un’ecografia ecc. insomma per dare i primi soccorsi a chi è vittima di un incidente, di un malore improvviso ecc., in attesa di trasferire il paziente in strutture ospedaliere più grandi.

 

L’ASSISTENZA PSICHIATRICA

In Italia la legge 180 del 1978, nota come legge Basaglia, stabilì la chiusura degli ospedali psichiatrici, al cui posto subentrarono i centri di igiene mentale e la costituzione di piccole comunità assistite in apposite case-alloggio. Secondo Basaglia la psichiatria fino ad allora era servita a salvaguardare la stabilità sociale e i rapporti di potere nella società, fornendo una motivazione scientifica alla segregazione dei malati di mente entro le mura dei manicomi. Lo psichiatra veneziano, seguendo le linee dell’antipsichiatria, rifiutava l’idea che i disturbi mentali andavano curati come qualsiasi altra malattia fisica e si opponeva ai manicomi e a tutte le altre forme di trattamento costrittivo.

Lo squilibrio mentale, nel pensiero di Basaglia, ha cause soprattutto di origine sociale: infatti, quando non può essere accertata una derivazione organica, il disturbo mentale sarebbe da mettere in relazione con situazioni di disagio come la povertà, l’emarginazione, la tossicodipendenza e la devianza sociale.

Nella sua esperienza di primario dell’ospedale psichiatrico di Gorizia e, in seguito di Trieste, Basaglia si rese conto che il malato di mente non aveva bisogno solo di cure, ma anche di un rapporto umano e, soprattutto, di essere considerato come soggetto e non come oggetto.

La deistituzionalizzazione, comunque, nella pratica si è rivelata subito un’operazione complessa e suscettibile di esiti incerti o diversi da quelli che i riformatori si erano proposti originariamente, non solo in Italia, ma anche in paesi avanzati, come gli Stati Uniti. Per questo motivo, successivamente, ci sono stati un po’ dappertutto “ripensamenti”. In effetti, non tutti i soggetti sono trattabili in case famiglia; per secondo, queste ultime sono strutture molto costose; in terzo luogo non sempre i problemi mentali dei pazienti derivano da disagi sociali ecc., perciò quasi tutti i paesi hanno poi riaperto strutture ospedaliere destinate ai casi più gravi.

L’esperienza ci ha insegnato che per assistere le persone con problemi mentali c’è bisogno di 4 tipi di strutture: servizi ambulatoriali (consultori), case famiglie, ospedali psichiatrici e case ricovero per i malati mentali socialmente pericolosi.

I consultori. Funzionano come degli ambulatori, le persone con problemi mentali alcune volte la settimana, di solito 2 o 3, si recano nello studio dello psichiatra o del psicologo clinico per il trattamento della loro patologia.

Gli sviluppi della moderna psicologia clinica hanno indicato chiaramente che la terapia dei disturbi mentali si deve basare su tre pilastri: farmacologia, psicoterapia e reinserimento sociale. Per questo motivo, per prima cosa, bisogna smettere di curare i pazienti soltanto con i farmaci, come purtroppo spesso succede oggi in molti paesi. L’esperienza ci ha confermato che è soltanto l’abbinamento con la psicoterapia a dare migliori risultati.

Una norma che bisogna assolutamente far rispettare in questo settore è quella della incompatibilità tra professione pubblica e privata. A chi lavora per una struttura pubblica non deve essere assolutamente concesso di fare anche visite private, altrimenti succederà spesso che i medici facciano pressione sui pazienti, che possono pagare, per averli come clienti nei loro studi privati. Molti medici si sono arricchiti in questo modo.

In conclusione questi centri dovrebbero assistere tutti pazienti che possono essere curati restando a casa e che hanno dei familiari che si prendono cura di loro. In questi casi è assolutamente sconsigliabile il loro ricovero in strutture psichiatriche e la loro terapia non deve basarsi solo sui farmaci, ma anche sulla psicoterapia e sull’integrazione sociale (ad esempio con l’organizzazione di attività ludiche o lavorative, però con orari ridotti e ritmi di lavoro molto blandi).

 

    Le case famiglie. In queste strutture, che possono essere anche abbastanza grandi, per rispondere all’esigenza di ridurre i costi, devono essere ricoverate le persone con problemi psicologici non pericolose, che non hanno una famiglia che se ne prenda cura. È giusto che questi pazienti siano assistiti in strutture diverse dagli ospedali psichiatrici o dei ospedali psichiatrici giudiziali.

Non solo al fine riabilitativo ma anche per ridurre i costi si potrebbero coinvolgerli nella gestione, ad esempio i più responsabili dei pazienti potrebbe restare alla portineria a turni di due ore, altri potrebbero aiutare in cucina o ad apparecchiare la tavola, mentre altri ancora potrebbero essere iniziati alla coltivazione di un piccolo orticello. Come pure dovrebbero essere organizzate attività artistiche, mostre di quadri, compilazioni di libri di poesie ecc., occorre fare il possibile per non farli restare inattivi.

 

Gli ospedali psichiatrici. Oggi si riesce a curare la stragrande maggioranza dei malati mentali facendoli rimanere a casa propria, allora perché istituzionalizzarli? Il grande sviluppo degli psicofarmaci, ha infatti, reso obsoleti gli ospedali psichiatrici. In effetti, i ricoveri ospedalieri per i malati di mente dovrebbero essere limitati solo a casi estremi, soprattutto quando il paziente può essere pericoloso per sé (casi di autolesionismo) o per gli altri. Se si tratta, invece di episodi acuti, bisogna trattenerli soltanto per brevi periodi, finché non vengono stabilizzati. Non ha senso volere internare un malato mentale quando non è pericoloso e in grado di gestire la sua quotidianità autonomamente o con l’aiuto di familiari o di amici comprensivi.

Se questi malati possono essere un peso insostenibile, si possono pensare a degli istituti che li assistano durante il giorno, facendo loro delle terapie e intrattenendoli con delle attività, poi la sera rientrano a casa. In questo modo i costi e le fatiche dell’assistenza ai disabili mentali sarebbero divisi a metà tra la famiglia e l’ente pubblico.

Pubblici o privati convenzionati? Anche qui la disputa è ancora aperta, chiaramente se si opera per la seconda soluzione occorre che i controlli siano frequenti, occorre vigilare che le terapie siano idonee e i pazienti non siano sedati solo allo scopo di tenerli buoni. In altre parole, più che dei centri di recupero diventino solo dei “parcheggi” di persone al fine di ottenere sovvenzioni dallo stato.

 

Gli ospedali psichiatrici obbligatori. Queste strutture, che hanno sostituito i vecchi manicomi criminali, devono essere destinate esclusivamente a quei malati mentali che sono stati protagonisti di episodi violenti o fatti di sangue e che sono, quindi, socialmente pericolosi.

È giusto curare queste persone, ma è ancora più importante proteggere la società dalle azioni irresponsabili di queste persone. Lasciarli in libertà, come si fa spesso in molti paesi come Italia, è da incoscienti. Oggi da noi prevale l’opinione che i malati mentali non sono responsabili dei crimini commessi. È giusto, ma proprio perché queste persone non sono in grado di distinguere il bene dal male, devono essere messe nella condizione di non nuocere agli altri.

 

È di qualche anno fa la notizia che uno squilibrato mentale a Bergamo prese a martellate una passante per strada, senza che la donna gli avesse fatto niente. Non è bello che persone che hanno massacrato la propria famiglia o hanno ucciso la mamma e un fratello, tornino in libertà dopo una decina di anni. Oggi basta che uno psichiatra li dichiari clinicamente guarite e persone che hanno fatto una strage sono di nuovo libere. Queste persone sono una delle categorie che più di frequente si rendono responsabili di gravi fatti di sangue.

Nessuno psichiatra si deve credere infallibile e affermare con certezza che una persona è clinicamente guarita e che non costituisce più una minaccia per la società. L’esperienza ci insegna che i medici si possono sbagliare con facilità. Casi di persone dichiarate guarite e che poi sono tornate a uccidere, né sono piene le cronache. Nessuno, nemmeno i clinici, possono entrare nella mente di un altro e stabilire con certezza che certe tendenze siano scomparse definitivamente.

In secondo luogo, è già successo varie volte che molte di queste persone, pur di uscire di prigione, abbiano ingannato gli psichiatri assecondando tutte le loro richieste. Una volta fuori sono tornate a essere quello che erano sempre state: dei pazzi criminali o dei pedofili. Gli psichiatri smettano di credersi infallibili, una buon parte dei malati mentali è abbastanza furba da simulare la guarigione.

 

La tossicodipendenza. L’argomento è piuttosto ampio e complesso, però nemmeno in questo caso vogliamo perdere l’occasione di dare delle indicazioni di carattere generale.

Il Ministero della salute del nostro modello, nel nostro modello, si occupa delle strutture che assistono le persone che hanno problemi di tossicodipendenza (cioè usa “le maniere dolci”, mentre il Ministero dell’interno le maniere forti). Sull’esempio del Portogallo in cui le dipendenze sono considerate più un problema di salute che di ordine pubblico e i tossicodipendenti dei malati, piuttosto che dei criminali.

Per questo motivo devono crearsi dei centri che assistano queste persone e degli operatori, sempre gli stessi in modo che possono creare delle relazioni con i loro utenti, che passano per le case o nelle zone dove vivono i tossicodipendenti per aiutarli e fornire ogni tipo di supporto (ad es. li invitano al centro se hanno bisogno di uno psicologo o di metadone ecc.).

L’esempio del Portogallo è da studiare con attenzione. Con la legge 201, ha depenalizzato l’uso delle droghe e dei tossicodipendenti non si occupa più il ministero dell’interno, ma quello della sanità. In effetti quando le forze dell’ordine trovano qualcuno intento drogarsi lo obbligano a presentarsi davanti a una commissione costituita da un medico, da uno psicologo ecc.. Nel 2014 il Portogallo è risultato il paese dove si consumava meno droga di tutti gli altri paesi europei, cioè il fenomeno si era ridotto più del doppio rispetto agli anni precedenti (in alcune zone i tossicodipendenti erano arrivati ad essere addirittura l’1% della popolazione).

 

Legalizzazione della cannabis. Sono in molti paesi che hanno intrapreso questa strada, dal Portogallo, all’Uruguay, al Colorado (USA) ecc.. Il loro discorso è abbastanza semplice: meglio legalizzare la marijuana per sottrarre il suo uso al libero mercato, in modo da poter controllare il fenomeno. In effetti dato che la marijuana non è molto più nociva per la salute di tante sostanze, il proibizionismo porta molti più svantaggi che vantaggi.

Non è da sottovalutare il risvolto economico, il Colorado da quando ha legalizzato la coltivazione e la vendita dei prodotti a base di cannabis, ha vissuto un piccolo boom economico che ancora continua nel momento in cui si sta scrivendo.

 

Siamo, però, assolutamente contrari alla vendita libera come si trattasse di un’aspirina, ma siamo per la creazione di “social club” (fuori città, quindi con ampi spazi compreso un giardino o un terrazzo), dove gli utenti, previa un’iscrizione, possono recarsi per consumare prodotti derivati dalla cannabis. In effetti il cliente entra, si siede ed insieme a una bibita può comprare una sigaretta o prodotti simili; la fuma e dopo un po’ va via (cioè non può portare niente fuori).

Il gestore del locale deve, però essere in grado di garantire l’ordine pubblico (ad es. evitare risse nel locale) e fornire un servizio di taxi per accompagnare i clienti e impedire che tornino a casa guidando sotto l’effetto di sostanze psicoattive.

È, però, consigliabile consentire anche la coltivazione della cannabis per evitare che la importiamo. Rimandiamo chi vuole approfondire al nostro e-book “Come vincere la droga” (www.ebookgratuitiperte.altervista.org) scaricabile gratuitamente da internet.

1.241 thoughts on “13 – MINISTERO DELLA SALUTE

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